L’Italia da dimenticare

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Questo eccellente articolo è stato scritto da Oliver Meiler, corrispondente dall’Italia, dal 1998 al 2007, per il quotidiano svizzero Tages-Anzeiger e per il tedesco Berliner Zeitung. L’articolo che segue, di cui riporto alcuni passi, è stato pubblicato da Internazionale, ottimo settimanale che pubblica articoli da diverse testate giornalistiche del mondo; credo sia illuminante, nonché lucida analisi e ironica sintesi dei maggiori mali che ci affliggono come collettività italica.
“Fra la gente domina l’opinione che la politica e lo stato si ingrassino a spese dei cittadini. In questo clima, svanisce il senso (già debole) della collettività, della cosa pubblica.

 Ecco perché in Italia l’evasione fiscale è considerata uno sport popolare o una legittima vendetta sull’establishment politico: anche nel nord, anzi soprattutto nel prospero nord. Secondo le ultime cifre dell’ISTAT, si calcola che il fisco perda ogni anno 270 miliardi di euro di entrate tributarie. In lettere: duecentosettanta miliardi! Ma probabilmente la cifra reale è molto maggiore. Questi soldi restano alla gente: restano nel secondo mondo, nel mondo parallelo, nell’intreccio delle reti di sicurezza private. A molti garantiscono la sopravvivenza, a parecchi una vita decente, ad alcuni addirittura una vita agiata. Così funziona l’Italia. La politica promette solennemente di combattere il fantasma, ma intanto ci convive a meraviglia. Al primo posto, nell’Italia nascosta (quella vera) sta la famiglia, nucleo centrale della società: ancora e sempre. E’ la famiglia che aiuta i figli a uscire dalla trappola dei lavori da 700 euro al mese. Quasi sempre, con un appartamento come capitale iniziale. E’ per questo che tanti genitori lavorano una vita. I figli, una volta finiti gli studi, nel migliore dei casi possono sperare di trovare un posto al nero, senza contributi previdenziali. Anche in parlamento, nove assistenti su dieci sono assunti illegalmente. Uno scandalo? Così crescono i giovani: privi di illusioni. Senza capitale iniziale e la famiglia, non si fa niente. Se la famiglia è proprietaria di un negozio, i figli ci lavorano. Se il padre appartiene a una categoria professionale organizzata, a un’associazione, a un sindacato, provvede lui a sistemare i rampolli. Se il padre fa il tassista, ci sono buone probabilità che anche il figlio guidi un taxi. Sono modelli vecchi, antimoderni. In Italia le raccomandazioni di parenti ed amici sono tutto: le capacità sono secondarie. I grandi campioni del gioco delle poltrone fanno parte della casta dei politici. Tutti trovano un posto. I concorsi sono per lo più fittizzi, ogni concorrenza è manipolata. Funzionano così anche quasi tutte le aziende. E naturalmente anche la mafia, nel ramo criminale. I clan mafiosi altro non sono che aziende chiuse, fortemente gerarchizzate, gestite come alternative allo Stato debole. All’altra estremità (quella superiore) della scala morale ci sono milioni di persone impegnate in organizzazioni di volontariato, religiose e sociali. In nessun altro paese europeo si osserva un amore appassionato per il prossimo, un cuore tanto aperto ai deboli, come in Italia. I volontari si occupano di chi non appartiene a nessuna potente sottosocietà, di chi non ha privilegi: di quelli che lo stato non può o non vuole aiutare. I volontari compensano le carenze dei servizi sociali. Così funziona l’Italia. La rabbia verso lo stato dovrebbe essere grande, molto più grande del lamento rituale. Dovrebbe sfogarsi in proteste. Dovrebbero protestare almeno quei milioni di persone che non possono truffare il fisco perchè le tasse gli vengono detratte dallo stipendio. Oppure quelli che non trovano un secondo lavoro al nero per arrivare alla fine del mese. E invece la rabbia si risolve in autoironia. Che paese!! Ma gli italiani sanno convivere con le loro debolezze, sanno ridere di loro stessi. E’ uno dei loro maggiori punti di forza, forse il più grande. Li rende unici, leggeri, sexy. E’ l’autoironia che salva gli italiani. Smussa gli spigoli della vita quotidiana, smorza le asprezze, stimola la creatività. Impedisce ogni riforma, ogni cambiamento. Conserva. E fa della vita una festa. Sempre e malgrado tutto. E’ l’Italia.”

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