Molte riflessioni si possono fare sui più recenti accadimenti riguardanti l’omicidio di un ragazzo, in ambito di tifoserie calcistiche, da parte di un elemento delle forze dell’ordine. Innanzitutto è folle, in conseguenza di un accadimento del genere, dare più poteri alle forze dell’ordine, quando il problema è di natura sociale e politica e soprattutto quando è evidente che le forze dell’ordine in Italia non hanno la preparazione necessaria per affrontare problematiche di tal guisa. Se ogni qual volta avviene un fatto tragico di morte in contesti sociali pubblici si inasprisce la repressione dello Stato, si delega all’uso della forza la soluzione di problemi sociali piuttosto che all’uso della prevenzione e del controllo preventivo, si sradica inoltre il sistema costituzionale che dà l’obbligo (come minimo etico) di indirizzo sociale (nella forma di soluzioni di tutela dei beni protetti basate sull’educazione piuttosto che sulla coercizione) a chi è delegato per questo dal popolo, ossia il Parlamento e il Governo.
E questi poteri debbono essere orientati verso soluzioni preventive e di controllo se vogliamo vivere in uno Stato di Diritto e non in uno stato autoritario, se non vogliamo cedere alla forza bruta come unica soluzione per le problematiche sociali. Non si possono per l’ennesima volta coprire gli abusi delle autorità di pubblica sicurezza, ma chi sbaglia deve (proprio perché non cittadino comune, bensì tutore dell’ordine e quindi primo portatore della legge) pagare in maniera consona alla più elevata responsabilità di chi commette un reato nell’espletamento di funzioni rivolte alla tutela della collettività, quali quelle di polizia. Ma se chi deve far rispettare la legge è il primo che, quando commette un illecito, cerca scusanti e in qualche modo (per una forma di corporativismo delle forze dell’ordine in Italia) viene scagionato in maniera più “facile” del cittadino comune, si compie l’esatto opposto di ciò che l’individuo comune si aspetta. Si parla già di delitto colposo, come se già fosse certo (a pochisimi giorni dall’accadimento) quale sia il reato che è stato commesso, senza probabilmente che siano stati ascoltati ancora tutti i testimoni e senza che sia stato ancora ricostruito il fatto nel suo complesso. In qualche modo (almeno nell’immaginario collettivo) già si elimina la possibilità di un omicidio volontario, ossia di una pena più grave, per il solo fatto che autore del reato è un funzionario di P.S. Al contrario, se si tratta di un cittadino extra-comunitario o di un pregiudicato a commettere il reato, subito li si accusa di inaudita violenza, di inspiegabile (se non nella cattiveria insita nel fatto stesso di essere extra-comunitari o pregiudicati, ossia per pura discriminazione) e folle atto di rabbia animalesca, di soggetti socialmente pericolosi. In uno Stato di Diritto, per via del fondamentale principio di uguaglianza, per tutti i cittadini colpevoli di un medesimo reato, la sanzione deve essere la medesima. Se questo principio viene meno, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni viene meno. E se viene meno tale fiducia, le tensioni sociali non possono che aumentare sino a sfociare nel caos dell’intera collettività. Questo purtroppo sta accadendo in Italia, poiché anche i più basilari diritti sono garantiti in maniera iniqua da cittadino a cittadino. La ricchezza e il potere divengono così oggi, nei fatti, esimenti per sottrarsi al rispetto della legge, cause di inpunità intollerabili. E la responsabilità politica non si può addebbitare (come ormai avviene sempre più spesso) tutta quanta alla sola classe politica: essa null’altro è che lo specchio delle paure, dell’ignoranza, dell’inconsapevolezza, dellla maggioranza dei cittadini. Non può crescere un popolo, se non lo decide: gli italiani in qualche modo dormono sull’illusione di poter convivere con tutte queste abberrazioni, potendole sopportare perché c’è di peggio nel mondo, non comprendendo che la vita non è una fotografia, non rimane cristallizzata in un momento, essa è un incessante scorrere di eventi e la forza (e la debolezza) dell’uomo sta nel poterne decidere il corso. Questo vivere che sa sempre più di sopravvivenza è quanto di più lesivo c’è per il progresso della specie. Questo continuo atteggiarsi da pecore con i leoni e da leoni con le pecore non fa che spingere verso il baratro tutti gli ideali di giustizia, pace, amore, fratellanza, che da millenni l’umanità insegue. Il benessere del maggior numero possibile di individui (a maggior ragione quindi la tutela di ogni singolo individuo) è l’indice della maturità e dell’avvicendamento ai più alti valori dell’umanità. Non si può continuare a sbagliare in questo modo, a far vincere sempre i più bassi istinti egoistici al prezzo della continua compressione delle libertà. E dopotutto il calcio è solo un gioco, riportiamolo alla giusta dimensione: basta ore e ore di programmazione sui media e giri di milioni di euro tra pubblicità, ingaggi, sponsors. Stiamo mercificando tutto, anche il divertimento, è ora di smetterla, altrimenti questi episodi null’altro sono che il preludio ad un futuro ben più tragico.