Io in quei giorni fatidici di Genova fui lì. Fui lì, come la stragrande maggioranza delle persone, per chiedere giustizia e equità sociale, non solo per l’Italia, ma per il mondo intero. Vidi frati, famiglie, giovani, anziani, musici, professori, operai, giocolieri, volontari provenienti da tutte le parti del mondo e sentii forte dentro me la speranza d’un futuro migliore. Poi l’omicidio e il massacro alla Diaz: il velo nero del potere e l’impotenza mi rapirono l’animo. Non credo di essermi più ripreso da quel giorno: ho sì continuato a lottare, ma dentro me ha fatto breccia la possibilità (prima mai paventata) d’una profonda impotenza di fronte al sistema costituito. Io sono uno dei tanti Carlo Giuliani che furono lì e solo la sorte mi impedì di finire al suo posto; lo strapotere dei media riuscì a trasformare ciò che un tempo sarebbe bastato in Italia a far scoppiare una rivolta di massa, in un affare privato tra lo Stato e lo sparuto numero di cittadini (rispetto ai milioni di italiani) presenti alle manifestazioni e iniziative di quei giorni. Sono ancora vivide nella memoria le cronache di quei giorni dove non un solo tg parlò del perché del Forum, di cosa si era riuscito a costruire, di come tante menti e tanti cuori avevano dialogato per costruire una società migliore, per fare proposte possibili e necessarie. E la stragrande maggioranza dei cittadini stette zitta, tacque di fronte a dei fatti gravissimi. E allora penso che è colpa anche mia se Carlo è morto e soprattutto è colpa mia se il suo ricordo non è rimasto che nei 50.000 che sono scesi in piazza a Genova questo anno e non nel cuore di tutti i cittadini. La morte di un tifoso pochi giorni addietro ha suscitato più scalpore della morte di Carlo, solo perché legata al calcio, qualcosa di cui tutti parlano, di cui tutti si interessano, come se la morte violenta d’un giovane sia diversa a seconda delle situazioni. E c’è stata unanimità sociale e politica nella condanna del gesto senza motivo, non ci sono state divisioni di sorta. Mentre quando morì Carlo, che non stava andando ad una partita di calcio, ma stava manifestando per i diritti di tutti gli esseri umani, ci furono prese di posizione sia dai palazzi del potere e soprattutto da parte dei cittadini. C’è chi sostenne (e ancora sostiene) fosse un violento che era stato “per errore” ucciso per legittima difesa da parte di un poliziotto, addirittura si sostenne all’inizio che era morto per una sassata; la gente comune in qualche modo pensò che se l’era andata a cercare, così come sostiene (dentro di sé ovviamente, ché bisogna alimentare sempre l’ipocrisia per viverci dentro) che l’abuso sessuale di una ragazza è si riprorevole, ma siccome porta la minigonna se lo va a cercare. Questa modo di pensare degli italiani mi disgusta, è qualcosa che mi allontana sempre più dal mio paese. E per quanto si possa parlare della morte di Carlo, nulla mi potrà mai togliere dalla testa che è anche colpa mia, è colpa di tutti. Non c’è nessuna esimente che possa togliere la colpevolezza di tutti noi nella morte di Carlo. E’ colpa di noi italiani che siamo indifferenti a tutto, che siamo abituati alle morti ingiuste, come se fosse endemico dell’umanità morire di fame, di violenza, di malattia, di lavoro. E vedere che in tutti questi anni nulla è cambiato, ma anzi è peggiorato mi fa soffrire ancora di più. Io non so cosa avrebbe pensato Carlo se fosse stato ancora tra noi, ma il fatto che non glielo possa più chiedere mi brucia dentro come lava infuocata: con lui è morta anche una parte di me, quella più giovane, quella spensierata e combattiva, che non si arrende al dolore, ma che è convinta di poter cambiare tutto. L’unico modo per ricordare Carlo è quindi per me recuperare quella parte, solo così non è morto invano, solo così posso farlo rivivere, solo così mi posso sentire appagato. E nella ricorrenza della sua morte, dopo sei anni, finalmente riesco a riparlare di Genova, finalmente riesco a capire che non mi posso arrendere e non posso lasciar spegnere la mia parte migliore: quella gioventù a lui negata la porterò con me nel mio cuore per sempre, un desiderio senza età e senza scadenze d’una giustizia che deve ancora venire, ma che è ancora possibile; per questo domani mi alzerò più forte, più determinato e Carlo rivivrà anche nel mio cuore, le mie braccia saranno anche le sue, la mia mente e le mie gambe cercheranno di camminare anche per lui. Mi voglio sobbarcare di questo onere perché solo così potrò ripagare la mia parte di colpa nei suoi confronti, solo così potrò brandire la spada della libertà per il mondo senza esitazioni, perché finalmente ritorno a sentire che non posso più morire e che posso liberare questo paese, finanche il mondo intero, dalla malvagità che lo attanaglia.
Z
(In greco antico significa: “lui vive”)