FMI Headquarters, Washington DC
Il Banco Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale stanno attraversando una grande crisi (per fortuna). Molti paesi economicamente svantaggiati, a cui per anni hanno consigliato magiche ricette finanziarie per diventare come i ricchi paesi industrializzati (celando invece la reale volontà di sottomettere per l’ennesima volta i paesi economicamente poveri), dopo aver attraversato crisi finanziarie inaudite (basti ricordare l’Argentina), stanno pagando il loro debito con questi organismi e ne stanno uscendo fuori. Questo probabilmente perché sono già undici volte che nel Banco Mondiale, contrariamente alle richieste della maggioranza degli stati “emergenti”, diviene presidente uno statunitense (l’ultimo è Robert Zoellick, eletto nel 2007); e forse anche perché l’ultimo Direttore Generale del FMI è Dominique Strauss-Kahn un francese, quindi un europeo. O forse perché questi istituti hanno un sistema di voto che si basa su quote (chi finanzia di più ha un diritto di voto maggiore di chi finanzia meno e, guarda caso, la quota maggiore la hanno gli Stati Uniti, clicca qui per vedere le quote). O si potrebbe ravvisare un’altra spiegazione nel fatto che questi isituti, nati con lo scopo formale di ridurre la povertà, impongono poi nella realtà sempre più vincoli economici ai paesi emergenti (di modo da lasciarli per sempre emergenti).
Le risposte sono molte, fatto sta che la maggior parte dei cittadini di questo globo terracqueo nemmeno ha coscienza (per mancanza di informazione) di chi controlla l’economia mondiale, del perché un pomodoro raccolto dallo stesso lavoratore, lavorato dalla stessa industria, trasportato dalla stessa ditta, venduto nello stesso supermercato, oggi costa un euro e domani due.
La spiegazione è semplice e si chiama saccheggio: le multinazionali, le imprese private, con le solite scuse di catastrofi naturali o finanziarie, stanno saccheggiando l’intero pianeta e in particolare gli stati “in via di sviluppo”, diventando sempre più ricche e potenti. Solo che se c’è un governo che saccheggia il proprio popolo e il proprio territorio, il popolo ha il diritto (almeno sulla carta) di votarne un altro (che poi non lo faccia è un’altra questione), ma se è una multinazionale o un’impresa privata, di cui nessuno ha votato la dirigenza, la soluzione al problema è più complicata.
Giusto per fare un esempio lampante del doppio volto di questi istituti, il su citato Zoellick, attuale presidente del Banco Mondiale, è una persona che non sa nulla di sviluppo, ma che sa bene come fare gli interessi del proprio paese: come principale rappresentante degli Stati Uniti nel OMC, nel 2001, visitò diversi paesi africani per comprare il loro voto e fargli accettare l’agenda Doha, che fortunatamente è ancora bloccata; si specializzò poi nel negoziare i trattati bilaterali degli Stati Uniti con diversi paesi in via di sviluppo, per favorire le multinazionali americane; giunse infine ad essere Segretario di Stato aggiunto (grazie a tutta questa gavetta) insieme a Condoleeza Rice.
Bisogna ricordare inoltre che il FMI ha sostenuto molte dittature tra cui quella di Pinochet in Chile, di Suharto in Indonesia, di Mobutu in Zaire, di Videla in Argentina, e attualmente di Sassou Nguesso nel Congo Brazzaville, di Déby nel Chad, tra le varie; quindi quando ci chiediamo come facciano paesi anche molto poveri ad avere il denaro per comprare così tante armi, la risposta è evidente.
Se questi sono gli organismi internazionali che gestiscono l’economia mondiale non andremo da nessuna parte, se non verso la terza guerra mondiale. L’umanità (intesa come l’insieme delle scelte d’ogni singolo uomo) ha bisogno di riflettere su tutto ciò e cominciare a rivedere la scala di valori che ha, per riuscire nel presente ad abbandonare la cattiva strada del dio denaro, dell’accumulo di ricchezze materiali (riservata ad un’elite), dell’aumento della produzione come misura del benessere e, senza ipocrisia, nuovamente voltare al reale progresso dato dalla pace, dai diritti basici garantiti, dalla cooperazione tra i popoli, dallo sviluppo quindi d’una felicità duratura per la nostra specie.