Vorrei narrare la storia di un imprenditore, Renato Crotti e del suo libro, “In attesa di un pullman”. Ho trovato tale libro all‘indirizzo http://www.socialismo.it: il Crotti o chi per lui ha preso tale dominio con l’intento per nulla mascherato di ingannare gli internauti.
Non faccio questa critica al suo libro per attaccarlo o per denigrarlo, ma per cercare di far capire come un essere umano si possa ingannare per un’intera vita, senza mai vedere la realtà con la dovuta saggezza, giudicando e condannando uomini e idee per partito preso, per scelta di parte. Io sono comunista, ma prima di tutto un essere umano e credo fermamente in quei valori etici che dovrebbero essere propri dell’uomo in quanto tale. Ma la vita e l’ego possono ingannare, possono farci vivere una vita di illusioni e di convinzioni, che nulla hanno a che vedere con la realtà, ma solo con la nostra visione egoistica di un mondo per noi fatto a nostra immagine e somiglianza. Mi auguro che il lettore possa capire come si può manipolare la realtà, come si possa arrivare alla terza età non avendo ancora capito il senso della vita, la necessità della ricerca assidua della verità per essere felici.
Premetto che, qualora leggerà queste mie righe, il Crotti mi definirà (come ha fatto con altri) radical-chic, ma non me la prenderò, perché so che è un uomo piccolo che si sente grande, che non vede la realtà in toto, che non ne ha nessuna coscienza, che basa la sua vita narrando una storia parziale, definendosi un imprenditore idealista: di cosa non si sa, visto che il mondo del capitale è quello che governa il mondo d’oggi e per ora si vede solo miseria e sfruttamento, con l’aggiunta di un’allarmante situazione ambientale, dettata proprio dall’esasperazione della produzione.
Costui comincia il libello narrando della sua vita: ammette di essersi da giovanissimo adeguato al regime fascista (come molti, d‘altronde), poi di aver disertato sia da una parte che dall‘altra durante le prime avvisaglie di resistenza, nascondendosi in casa di parenti, osservando inerme le tremende deportazioni degli ebrei (ma stranamente non v’erano dinanzi ai suoi occhi nè comunisti nè socialisti deportati, ma solo ebrei); nel frattempo si è dato la prima infarinatura di economia e leggendo Marx e del plus–valore già ne giudica l‘operato come incongruente (bisogna considerare che la teoria economica di Marx si studia in tutte le facoltà di economia del mondo e Marx è considerato come uno degli autori classici); esulta come tutti gli italiani alla liberazione (a cui lui ha partecipato solo nell‘atto finale del 25 aprile); narra dei processi sommari fatti dagli uomini che avevano lottato contro il fascismo, ma dimentica di descrivere la barbarie degli imprenditori e dell‘industria che appoggiarono Mussolini e gli consentirono di andare al potere; narra poi di aver cavalcato l‘onda del bisogno del dopo–guerra italiano, iniziando a commerciare (grazie ad un prestito di 300.000 lire della Banca Popolare di Carpi, che immagino non erogasse ingenti somme a chiunque) e guadagnare denaro, in quel di Carpi, cittadella sua d‘origine. Mentre tanti italiani si chiedevano a quel tempo quale futuro fosse necessario per il paese, lui a 24 anni, era impegnato ad arricchirsi e scrive che non aveva tempo per le piazze. Descrive quell‘immediato dopo guerra come uno scontro politico tra la buona, brava, democratica, riformista, Democrazia Cristiana e i socialisti e comunisti a suo dire pronti alla dittatura più spietata o ad un totalitarismo di stile sovietico. Così inizia ad accumulare soldi, sempre più, senza pensare più di tanto a ciò che accadeva nell‘Italia di quegli anni, senza osservare chi stava per sempre rovinando i valori della Resistenza, con l‘aiuto degli statunitensi e dei democristiani (a quel tempo i manifesti della D.C. erano quelli in cui i comunisti erano raffigurati come feroci esseri mangia bambini). Il pioniere indomito dell‘economia italica narra di un 1947 in cui l‘espansionismo sovietico si muoveva verso il progetto imperialistico di edificare un mondo comunista (e effettivamente così era, tranne per il fatto che la Russia di Stalin nulla aveva di comunista), ma anche qui dimenticando l‘imperialismo statunitense, che poi si rivelò vincente: ma d‘altronde le barbarie degli amici USA a quanto pare il nostro non riesce a scorgerle, nella sua miopia anticomunista a prescindere.
Già con il governo De Gasperi e in linea con esso, si accorge che il consenso politico deve essere subordinato al risanamento economico, che quindi l‘economia deve prevalere su ogni ideale e valore. E grazie all‘esclusione dei socialcomunisti dal governo, si sbloccano i finanziamenti del piano Marshall, un ricatto che ha funzionato sino ad oggi per eliminare ogni ideale di sinistra dall‘Italia, di economia diversa dal capitalismo. Già allora si capisce che il controllo dell‘informazione è determinante e milioni di volantini invadono l‘Italia (pagati da chissà chi), in cui si martella la filastrocca «Con De Gasperi alla testa or si mangia la minestra, se alla testa avrem Togliatti leccheremo solo i piatti». E infatti nel 1948 la DC vince le elezioni con il 48,5% dei consensi contro il 31% del Fronte Democratico Popolare. Nel mentre il nostro uomo è tutto dedicato al guadagno, indifferente al futuro dell’Italia, portatore dei valori che erano perfetti per Stati Uniti e D.C.: non importa il tuo pensiero, l’importante è che produci e consumi.
Si “adatta” il poverino ad abitare con un’altra famiglia dopo il suo matrimonio, vista la penuria di abitazioni dell’Italia del 1948 (ma per anni la maggior parte degli italiani vive in una casa anche in 15-20 persone).
Narra della sua Carpi “stalinista”, perché la sua gente votava comunista, non certo perché v’era una dittatura. Diciamo che dà ogni volta nel suo libello un aggettivo dispregiativo per tutto ciò che è di sinistra e più aggettivi positivi per il democratico capitale. Narra dei lavoratori delle sue terre come risorsa umana, merce di scambio del sistema produttivo: già quindi nei primi anni dimostra la sua visione di “democrazia” e di “libertà”.
Dà sfogo alle sue “energie prettamente egoistiche” che a suo parere determinano “poi benefici di carattere collettivo”. Nella sua nascente industria del filato dimentica di citare gli operai che lavorano per due soldi, mentre lui viaggia e accumula denaro. Inizia quindi a descrivere la sua intelligenza, con la spocchia tipica di chi si sente superiore, la sua intraprendenza, che tanti benefici ha portato alla sua zona. Narra poi della legge truffa del De Gasperi, che per fortuna risulta inutile alle elezioni del 1953, poiché il quadripartito di governo non riesce a superare la soglia del 50%.
E qui comincia il delirio di saggezza, in cui sostiene l’inevitabilità dell’accumulazione capitalistica per innovare l’industria (mantenendo i salari invariati), come passaggio fisiologico obbligato, tanto ciò porta poi a nuovi posti di lavoro e benessere per la comunità: nel frattempo dimentica che è proprio il salario che non compensa lo sforzo del lavoratore, che consente all’industria di arricchirsi, quell'”incoerente” plus valore che non vuole proprio comprendere e accettare come ingiusto.
Parla della sua produzione come se fosse lui a sudare e lavorare giorno e notte e non i suoi operai. Addirittura ci narra il nostro anti-eroe del rischio che corre negli anni ’50, tramite la commercializzazione del lamé e dell’acetato testurizzato, qual pioniere è il nostro uomo, qual perseveranza e coraggio!
Grazie a lui, la-borioso industriale, a Carpi a suo dire esplode il miracolo economico, quale paese precursore d’Italia.
Si trova con il pressante problema della mancanza di mano d’opera, trovandosi costretto ad aprire nuove fabbriche nei limitrofi paesi, attendendo la manovalanza che ancora non giunge dal sud Italia. Gli manca in quel periodo la risorsa umana (ma d’altronde non tutti probabilmente vogliono fare l’operaio schiavo in fabbrica).
Intanto ci narra che si comincia a mettersi d’accordo con il parlamentare democristiano Vittorino Carra, per scongiurare una possibile legge che avrebbe dovuto fargli pagare i contributi anche ai lavoratori a domicilio della sua azienda (qual terribile contraccolpo per la produttività e la competitività), invitando tutti i maglifici della zona ad unirsi contro tale nefasta possibilità. Da qui nasce l’Aia (Associazione delle Imprese dell’Abbigliamento). Siamo giunti agli anni ’60.
Qui si concede ad una digressione citando alcuni articoli dell’Unità del 1950 in cui si narra della Russia di Stalin come il paradiso e comincia il suo panegirico fatto d’arroganza e ignoranza, in cui sostiene che Marx abbia sbagliato la sua teoria economica perché basata solo sul fattore capitale e il fattore lavoro, dimenticando l’essere umano. Ma è il capitalismo che si basa sul capitale e sul lavoro, dimenticando l’essere umano, che è solo risorsa, merce! Marx parlando del capitale non può che parlare di questi due soli fattori, poiché è il capitale che considera l’uomo un fattore produttivo, non Marx. Il nostro, consideratosi grande economista (parlando di Marx come d’un allenatore di calcio) sostiene che senza concorrenza non si possono formare i prezzi, che senza proprietà privata (ma Marx sostiene la necessità della socializzazione del sistema produttivo, non dell’abolizione della proprietà privata, evidentemente ciò gli è sfuggito), senza mercato libero l’economia non funziona: ma la realtà contemporanea ci dice che i prezzi,i prodotti e la loro qualità, sono stabiliti non dalla domanda e dall’offerta, ma dai cartelli che le industrie fanno a livello mondiale, dagli accordi delle multinazionali che decidono a livello internazionale i prezzi dei prodotti, dalla pubblicità che si fa d’un prodotto, a prescindere dalla sua utilità.
Sostiene il nostro imprenditore che il capitalismo ha assoluto bisogno di consumatori, quindi non ha alcun interesse a creare dei poveri: peccato che la realtà sia tutt’altra e che l’unico interesse del capitale risulta l’accumulo di denaro, lasciando le briciole al resto della popolazione. Ci offrono un telefono cellulare a 50€, prodotto con materie prime estratte da lavoratori sotto-pagati, schiavi, assemblato da operai specializzati sotto-pagati, noi infatuati dal pensiero unico che controlla l’informazione, chiediamo prestiti in banca, ci indebitiamo, per cellulare, automobile, casa. Diciamo che più realisticamente il capitale ha bisogno che la gente non pensi, che la gente non si accorga, fondamentalmente ha bisogno d’anime ingenue e stolte pronte a comprare ogni stupidaggine che il sistema propina. D’altronde il nostro novello scrittore è rimasto a Marx, non si è spinto a leggere Lenin e dell’imperialismo economico.
A questo punto ci porta un passo di Moravia, il quale parla di espressione e repressione, per parlare del Cile e dei terribili fatti degli anni ’70 e travisandone le parole ne fa un commento per screditare i tanto odiati comunisti, parlando di pianificazione come l’orrore del comunismo, in antitesi alla programmazione, la libertà di scelta del capitalismo. Anche qui non vede la realtà, non si accorge che il capitale pianifica e sceglie per il cittadino, che nulla può fare che comprare ciò che trova nei negozi, probabilmente ciò che costa di meno e che è di qualità più scadente, incentivando così la produzione di merce-immondizia. L’unica vera libertà del cittadino (se ha avuto una educazione imparziale e completa, cosa già rara e se ha avuto la completa informazione, cosa ancor più lontana visto che i media sono in mano al capitale) è votare secondo coscienza, indipendentemente dal sistema economico che si è dato lo stato in un dato momento storico.
Il nostro capitalista parla del Cile che non riesce a conciliare la democrazia e la pianificazione, dimenticandosi che Allende è stato trucidato e che ciò è avvenuto grazie alle pesanti ingerenze degli Stati Uniti, paese liberista e capitalista ai massimi livelli. Travisa le parole di Moravia, che parla del buon governo come un organo atto a creare strumenti sociali e politici per favorire al massimo l’espressione individuale e collettiva, traducendo ciò come il governo che crea gli strumenti atti a favorire al massimo l’economia di mercato.
Ovviamente salta a piè pari tutta la storia d’Italia degli anni ’60 e ’70, dalla strategia della tensione e l’organizzazione Gladio, alle stragi dell’estrema destra, con il beneplacito dei governi democristiani e dei servizi segreti statunitensi.
Parla solo dei suoi viaggi organizzati in Russia, per far vedere i disastri del “comunismo”, il suo cavallo di battaglia, quando in Italia si era già scelta una via diversa alla enorme distorsione del comunismo che era la Russia del tempo.
Inizia a questo punto ad autocelebrarsi come fondatore del giornale “Tuttocarpi”, sostenendo l’assoluta imparzialità del quotidiano (ma con tali idee, pare difficile), creando uno dei tanti (tutti) mezzi d’informazione in mano all’industria, fedele al pensiero unico: difatti parla d’informazione vera, quella cioè che sostiene il capitalismo e il libero mercato come unica via di democrazia e libertà, fatto a suo parere storicamente dimostrabile, contrapposto al comunismo e al socialismo, via di orrori e nefandezze, regresso e dittatura, altrettanto a suo dire storicamente dimostrabile.
Ovviamente mi preme ricordare che il comunismo storico del Crotti è solo esclusivamente quello russo, dimenticandosi di tutte le altre esperienze mondiali (anche positive) al riguardo, dimenticando i comunisti che hanno contribuito a liberare l’Italia dal nazifascismo, dimenticando il comunismo che ha permesso di parlare di diritti del lavoratore e non come semplice forza lavoro, merce di scambio ai fini della produzione capitalistica.
Ricomincia a parlare dei suoi viaggi della verità, questa volta in Polonia, narrando delle attrezzature rudimentali dei contadini per causa del comunismo, ovviamente, non per l’embargo economico che tutti i paesi comunisti hanno dovuto sopportare o per la distorsione che l’ideale comuinsta ha avuto nella dirigenza di quel paese: dovrebbe farlo oggi un viaggio nella Polonia capitalista per vedere con i suoi occhi come le cose non sono poi cambiate di molto.
Lungi dallo studiare i fenomeni sociali con almeno la storia e la statistica, si accontenta dei suoi occhi per giudicare interi popoli, intere nazioni, per affermare con assoluta certezza la necessità dell’anticomunismo per portare il mondo alla libertà, per affermare su base storica le “contraddizioni” di una teoria economica come quella marxista che suo malgrado si rivela oggi quanto mai veritiera e reale.
Chissà oggi la Silan del nostro imprenditore dove prende i filati per le sue linee di abbigliamento, chissà da quali paesi e da quanto sudore, repressione e sfruttamento di esseri umani sono intrisi i suoi vestiti. Ma è l’economia di mercato, l’unica via per la democrazia e il progresso, che diamine!
Continua parlando a vanvera di regime “marxista” che i comunisti volevano instaurare in Italia (nel frattempo ribadisco, in quegli anni ’60, la destra, con governi compiacenti e con l’appoggio dei servizi segreti statunitensi, faceva stragi per ogni dove, ma il nostro non ne parla).
Ancora ci racconta che la fuga di capitali all’estero è dovuta dalla politica economica che imbriglia il capitale penalizzandolo e vincolandolo, non al capitalismo. Peccato che la più grande potenza economica mondiale, gli USA, hanno ingenti fughe di capitali, sono il paese con il più alto debito pubblico del mondo: ma al nostro tutto ciò non appare, i suoi occhi non vedono, sono ormai dediti all’osservare il mondo dall’alto di una montagna di soldi sotto il suo fondoschiena, dai salotti chic di uomini politici, giornalisti, intellettuali, sempre più invischiati nel sistema di corruzione e clientele italiano.
Dichiaro subito che non voglio in nessun modo proteggere i responsabili della repressione e della povertà dei paesi europei al tempo dell’URSS, ma che il comunismo come teoria economica non può essere messo in discussione dall’esperienza storica del comunismo dell’est europeo, da chi si è nascosto dietro al nome e al simbolo per proteggere feroci dittature e tolitarismi. Sarebbe come sostenere che Gesù fu un terribile malfattore, perché la Chiesa ha fatto le crociate.
Si spinge oltre il Crotti, sostenendo addirittura la menzogna come verità: parla delle aziende dello Stato, sostenendo che queste distorcono il mercato, ne sono un elemento turbativo, perché non essendo in economia, privilegiano il mantenimento dei posti di lavoro e il servizio sociale, creando così un freno al mercato; sostiene inoltre che solo in Italia si sono statalizzati in passato i settori strategici. Non è assolutamente vero: tutti i paesi europei hanno avuto (e ancora hanno) aziende statali per settori strategici, funzionanti egregiamente e anche meglio delle controparti private. Ad esempio le poste o le ferrovie sono statali in quasi tutto il mondo e funzionano perfettamente (tranne che in Italia). Il Crotti, nella sua follia di drogato dal denaro, dimentica che l’Italia odierna delle privatizzazioni ha distrutto la tutela dei diritti basici dei cittadini, come la salute, l’istruzione, la comunicazione, il trasporto; le aziende private guadagnano sempre più soldi, ma il lavoro è a peggiori condizioni e precario. I privati fanno quello che sanno fare: guadagnare sempre più. Non gli interessa nulla del benessere del cittadino, ma solo del benessere della loro azienda, dell’aumento del capitale e questo non produce necessariamente benessere per tutti, ma con certezza divide sempre più la popolazione tra (pochi) ricchissimi e (tanti) poverissimi. I lavoratori italiani sono tra i meno pagati d’Europa nel settore privato, i giovani sono o con contratti in nero o con contratti di lavoro precario. Il capitalismo di cui va tanto fiero il Crotti sta crollando su se stesso, sta implodendo: l’Europa socialdemocratica si sta trasformando nell’Europa del capitale, erodendo tutti i diritti acquisiti con anni di lotte da parte dei cittadini. Il controllo dello Stato, della politica, in forma sempre minore sull’economia, sta devastando interi paesi, intere generazioni, sta portando al collasso ambientale planetario, in nome della necessità dell’aumento della produzione. Oggi al mondo si produce il doppio del cibo necessario per sfamare tutta l’umanità, ma la mancata redistribuzione per mantenere alti i prezzi, produce miliardi di persone con il problema quotidiano della fame. Il libero mercato sta portando distruzione, guerra, devastazione, quando con l’attuale tecnologia tutti potremmo vivere dignitosamente, in pace e armonia. Quanti bambini vuole ancora vedere morire tale individuo prima di rendersi conto delle scemenze che scrive, dell’arroganza con cui analizza il mondo, visto forse attraverso Discovery Channel piuttosto che con i dati scientifici, statistici? Visto che è ricco, dovrebbe studiare e approfondire, per vedere che tutto il suo ideale del libero mercato funziona solo per chi è ricco, per chi sta in quel 10% di famiglie al mondo che detiene l’80% delle risorse economiche del pianeta. Mai vista tanta boria, ignoranza, disumanità, ipocrisia, in un solo libro e in una sola persona.
Siamo arrivati al punto ora in cui riprende nel libello l’autocelebrazione di sè e della sua magnifica azienda (ovviamente si guarda bene dal citare mai l’idea di anche un solo lavoratore delle sue imprese).
Torna poi a parlare dei suoi ora due giornali, democratici e liberi, uno conservatore l’altro “laburista”, per non lasciare nulla fuori dal suo controllo, elogiando un articolo del 1965 che prende in castagna gli amministratori di sinistra di Carpi che si vendono a quanto lui sostiene parte della piazza del paese, accusandoli di possibile peculato: la giustizia gli dà torto e ovviamente sostiene che la giustizia sbaglia (mi ricorda qualcuno): perché il suo solo interesse è solo la verità!
Salta poi al ’74, rifiutando di entrare in borsa, perché falsata dai titoli di Stato. Lui propone una riforma fiscale sul modello statunitense (!), che a suo parere porta a servizi efficienti e assicura prestazioni sociali mirate: sono 40.000.000 gli statunitensi senza diritto alla salute, ma immagino che anche di ciò su Sky non ne parlino.
Ovviamente accusa lo Stato e i sindacati della crisi della sua azienda, è colpa delle campagne stampa denigratorie, perché preso di mira dai comunisti e dai sindacati (anche questo mi ricorda qualcuno). E ovviamente sempre per causa degli infami che lo mettono in cattiva luce, anche la moglie gli si ritorce contro, sino al divorzio. Non è, ovviamente, il fatto che lui forse pensando ossessivamente all’azienda e alla sua lotta personale contro il comunismo, non ha notato cosa accade nella sua famiglia, ma la colpa è della solita cospirazione ai suoi danni, per aver detto la verità.
Alla fine negli anni ’80 e’90 il clima politico cambia e il liberismo riprende il sopravvento: la sua azienda torna ad essere “competitiva”, lui che non ha mai smesso di essere ricco, torna a guadagnare ancora di più.
Lo commuove una adunata con ex-operaie che lo invitano, forse sperando di fargli capire da che parte è sempre stata l’umanità, la solidarietà, la compassione. Ma pare non abbia ancora capito.