Per ogni azione, parola o pensiero d’un essere umano si mette in moto l’intero universo. Sembrerà incredibile, ma è scientificamente dimostrato che ogni parte è in relazione inscindibile con il tutto. E quindi anche noi esseri umani non siamo che relazioni in un eterno divenire. La nostra esistenza è relazione, la nostra essenza è il tutto.
Solo che le nostre azioni hanno un potere enormemente più grande di quanto si possa immaginare, possono creare veri e propri mostri, così come meravigliose creazioni.
Già, perché tutto ha una conseguenza, tutto è una conseguenza. Nulla è destinato al caso, ma tutto è legato (non da bensì) a scelte ben precise. E per quanto questa semplice affermazione possa portare ad un razionale rifiuto di tale complessità, ad un arrendersi al caso o al destino, il nostro essere più profondo, che non può prescindere dalla relazione, lo sa con certezza come sa che ne è responsabile.
Un esempio: cosa ha portato alla totale disfatta della sinistra radicale in Italia?
Io credo fondamentalmente un sistema cristallizzato e inamovibile, del professionismo politico, dell’imborghesirsi dei gruppi dirigenti, difetti che non dovrebbero appartenere all’ideale socialista, comunista o altermondista. La sinistra è stata incapace di creare comunità, di unire, non è riuscita ad immaginare un possibile e credibile futuro differente, giusto ed equo, non ha saputo essere concreta, sperimentando le idee, nel più classico dei principi: prassi – teoria – prassi. E tutto ciò è stato causato da persone che non hanno avuto il coraggio di dichiarare il proprio fallimento, la propria deriva approdata all’essere casta. Il gruppo di Bertinotti, di Ferrero, di Ferrando, di tutte le varie meteore in cui si è divisa Rifondazione, è il medesimo gruppo di anni addietro, quella dirigenza politica che ha saputo dare certe aperture interessanti, come il dibattito sulla non violenza, ma non ha saputo mantenere la coerenza ai propri ideali e l’ottimismo con la volontà gramsciano. Per non parlare del movimento altermondista, dei Comunisti Italiani, dei Verdi: sempre le stesse persone, una gerarchia ormai consolidata, anche se a volte non dichiarata seppure evidente, quasi accordo tacito di alcune generazioni. La sinistra si è accomodata sull’essere nicchia, ha perso lo spirito rivoluzionario sia da un punto di vista sociale che culturale. Chi ha detto che non si può fare rivoluzione senza armi? Tutto ciò che sta accadendo in molti paesi dell’America Latina non è forse una rivoluzione sociale e culturale senza precedenti, senza l’uso della violenza? Perché quasi nessuno ne parla a sinisitra, si ha paura di essere impopolari? Ma in un momento in cui il popolo è confuso, diviso, spesso ipocrita per paura, è un ovvia conseguenza che la verità sia impopolare: eppure, sempre citando Gramsci, è sempre rivoluzionaria. Se la sinistra avesse avuto altri dirigenti più giovani, più idealisti e al contempo più concreti, politici per passione e non per professione, avrebbe immediatamente capito che non si arebbe dovuta presentare alle ultime elezioni, fintanto che non fosse cambiata la legge elettorale palesemente incostituzionale. Si sarebbe sentita in dovere di lasciar scegliere al proprio popolo, con i mezzi informatici di cui dispone l’odierna società, i propri dirigenti e non lasciare tale potere alle segreterie di partito.
La sinistra in realtà è dentro ogni persona che la mattina si alza e immagina concretamente come agire per un mondo migliore, che pone il proprio sé, il proprio diritto di esistere, al pari di ogni altro essere, senza prevaricazioni, senza pregiudizi. È dentro tutte quelle persone che anche a sessanta anni vanno in piazza a manifestare, insieme ai giovani che riscoprono le tradizioni culturali, che si riavvicinano alla natura con rispetto, che valorizzano la necessità di essere collettività in armonia accettando le differenze.
La vera sinistra, il vero progresso, la vera rivoluzione, è dentro ogni uomo e ogni donna che si risveglia alla verità, che lotta quotidianamente contro ogni ingiustizia, che ama, sogna e ride mentre fatica per il prossimo errore. È nei villaggi ecologici, nei Gruppi d’Acquisto Solidali, nelle cooperative sociali, nei lavoratori che non accettano di vivere senza diritti, che non accettano di lavorare per bisogno, negli studenti che leggono libri, che si esprimono e si informano anche al di fuori del (e spesso in contraddizione con il) percorso scolastico, che viaggiano con un sacco in spalla in giro per il mondo, che cercano, che non vogliono accettare nulla per stabilito.
Perché si ha sempre paura in Italia di innovare, di rischiare? Perché questa paura è e è stata proprio della sinistra? Perché per innovare c’è bisogno di giovani e se si vuole mantenere il proprio spazio di potere, la propria signoria sugli eventi, come fa questa dirigenza (dei movimenti, della cultura e dei partiti della sinistra) ormai usurata, non si può investire sui giovani, non si può dar loro troppo spazio. Si deve adoperare il controllo, si deve limitare, arginare… Fintanto che non hanno imparato anche loro il gioco del potere.
E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti…
Altro esempio: perché in Italia la disonestà è altamente tollerata dalle persone?
In Italia ci sono centinaia di miglaia di leggi; gran parte delle decisioni importanti sull’economia, sulla politica, sulla cultura, sono prese da gruppi di interesse economico, i quali debbono sempre avere dei referenti politici affidabili (per questo esistono i politici per professione); lo scopo è creare un sistema giudiziario incancrenito, al fine di potere salvaguardarsi dai propri errori, dalle proprie illegalità. Quale migliore stratagemma che congestionare il sistema ingolfandolo di leggi e leggine, spesso incomprensibili ai più, per poter gestire i propri affari con scaltrezza?
E allora cosa fa il cittadino comune, il cittadino mediocre? Se ha un amico in banca, il mutuo forse lo ottiene, se ha un amico in ospedale forse riesce a salvarsi la vita, se ha un amico in Comune, forse riesce a costruirsi casa. Altrimenti non potrebbe vivere la società dell’opulenza se non approfittasse dei medesimi sotterfugi del potere. Eppure tutto il cambiamento è in mano proprio al cittadino mediocre, perché da un giorno all’altro potrebbe uscire dalla sua mediocrità, percepire un senso più alto della propria vita, rivolgere il proprio sguardo ad un oggi diverso. Forse è proprio l’incapacità di comprensione delle propria potenzialità del cittadino medio che mantiene in vita questa società allo sbando, questo stivale zoppo.
L’attuale mancanza di obiettivi, di indentità personale e colettiva, di prospettive di evoluzione, null’altro è che la conseguenza diretta del quotidiano agire rispettando le illeggittime regole non scritte che governano le nostre relazioni, basate interamente su un illusorio interesse personale, dimentichi dell’essere scientificamente e mentalmente in imprescindibile connessione.
Ennesimo esempio: l’albero della vita.
L’albero della vita è un fantastico esempio di interrelazione. Sto parlando di un albero filogenetico, un diagramma che rappresenta le relazioni di discendenza dei vari organismi, lo riporto qui sotto:
Ultimo esempio: ardita soluzione al dilemma del prigioniero
Se i due prigionieri scelgono di non confessare, sanno che sconteranno un anno, ma rimarranno leali l’un l’altro e una volta fuori saranno completamente liberi, senza rancore l’uno dell’altro, in amicizia, potendo anche tentare un altro delitto insieme.
Se uno sceglie di non confessare, ma l’altro sì, quindi uno rimane leale e l’altro no, chi rimane leale sa che sconterà la pena, ma sa che quando uscirà si vorrà vendicare ferocemente per aver scontato sette anni di carcere, la pena massima, a causa di chi uscirà subito che sa che dovrà fuggire dalla vendetta dell’altro. Quindi a entrambe conviene scontare un anno di pena, ma rimanere leali.
Se confessano è pur vero che sconteranno 6 anni, ma tutti e due saranno leali con le imprescindibili relazioni esterne, pagando la giusta pena, ma non saranno leali tra di loro, cosa che li aiuterà a non commettere più il delitto e non rischiare di nuovo di finire in carcere, proprio a causa del tradimento reciproco; nonché avranno maggiori probabilità di essere nuovamente accettati dalla società.
Quindi conviene a tutti, loro compresi, scontare 6 anni e confessare.
Nessuno vorrà non confessare, sapendo che l’altro potrebbe confessare, perché si farebbe 7 anni.
Entrambe vogliono confessare, sapendo che se l’altro non confessa, chi confessa non si fa la prigione, ma chi non confessa si fa 7 anni, se l’uno e l’altro confessano si fanno tutti e due 6 anni, che è comunque meno di 7.