« La società economica della crescita e del benessere non realizza l’obiettivo proclamato della modernità, vale a dire la massima felicità possibile per il massimo numero di individui. Una Ong britannica, la New Economics Foundation, elabora da diversi anni, sulla base di inchieste, un indice della felicità (happy planet index) che ribalta l’ordine classico del Pil pro capite e anche quello dell’indice si sviluppo umano (HDI). Per il 2009 la classifica stabilita dalla Ong vede in testa il Costa Rica, seguito dalla Repubblica Dominicana, dalla Giamaica e dal Guatemala. Gli Stati Uniti vengono soltanto al 114° posto. Questo paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta «sviluppata» si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè su una perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione dell’«usa e getta» trasforma in rifiuti, sia degli uomini, elusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti e manager ai disoccupati, agli homeless, ai barboni e altri rifiuti umani. La teologia utilizzava un bel termine per indicare la situazione di chi non era stato toccato dalla grazia: derelizione. L’italiano, più religioso, sceglie un termine più laicizzato di uso quotidiano e parla di «disgraziati». L’economia della crescita ha la derelizione come motore e moltiplica i «disgraziati». In effetti, in una società della crescita quelli che non sono dei vincenti o dei killer sono tutti più o meno dei falliti. Al limite, nella guerra di tutti contro tutti, c’è un solo vincente, dunque un solo challenger potenzialmente felice, anche se la sua posizione, di necessità precaria, lo condanna alla tortura dell’ansia. Tutti gli altri sono votati ai tormenti della frustrazione, della gelosia e dell’invidia. Così come si impegna nel riciclaggio dei rifiuti materiali, la decrescita deve interessarsi anche alla riabilitazione dei falliti. Se il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto, il miglior fallito è quello che la società non genera. Una società decente non produce esclusi »
(Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi, pp.69-70)
Una società decente non produce esclusi
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