Prima di esprimere il mio punto di vista sulla tematica che affronto in questo articolo, ossia il pregiudizio ideologico, preferisco definire cosa io intendo per pregiudizio e cosa per ideologia, di modo da non dar adito a fraintendimenti.
pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»].
Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.
Definizione dal vocabolario Treccani
Per quanto concerne invece la definizione di ideologia, trovo aderente al mio modo di intenderla la definizione data da Karl Marx e Frederich Engels, nel loro saggio “L’ideologia tedesca”:
L’ideologia non indica più, come per Ideologi e Illuministi, lo studio delle sensazioni e l’origine delle idee, essa per Marx indica la funzione che religione, filosofia e produzioni culturali in genere possono avere nel giustificare la situazione esistente: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante […] Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee»
Da Wikipedia
Credo che uno dei maggiori problemi di comunicazione e dialogo tra esseri umani sia determinato dall’avere un potente pregiudizio ideologico. Cosa intendo con ciò?
Intendo, in parole povere che, se un’idea non viene valutata in funzione della giustezza o meno in sé per sé (ognuno con i propri strumenti culturali, messi, attraverso il dibattito, in condivisione con l’altro in un aperto confronto, il più possibile liberi da preconcetti), attraverso un dialogo tendente a costruire un’idea comune, ma viene valutata pregiudizialmente in funzione del soggetto che la esprime, non possa mai avvenire un dibattito sincero, un crescere insieme, non ci possa in definitiva essere la capacità di costruire una comunità pacifica e quindi un futuro condiviso, scegliendo nel presente le idee più sagge e giuste che riusciamo a concepire.
Se si decide di considerare un’idea corretta solo perché a dirla è stata una persona che stimiamo, sia esso un rappresentante di una corrente di pensiero, un leader politico o religioso, un nostro amico, perdiamo la nostra innata capacità critica di riflettere analiticamente sulla realtà basandosi sui fatti e su una logica lineare piuttosto che sul preconcetto: perdiamo quindi l’opportunità di scegliere ciò che è meglio in questo dato momento.
Se il nostro pensiero non evolve in funzione delle informazioni che via via riceviamo, cercando di discernere la verità dalla menzogna, se si rifiuta il dialogo per pregiudizio ideologico, si perde il senso di realtà e si finisce per aderire ad una visione stereotipata o preconfezionata senza aggiungere il nostro prezioso punto di vista. Si sminuisce quindi il proprio ruolo e la propria importanza sociale, di esseri umani comunque pensanti e emotivi, in modo diverso l’uno dall’altro, con il proprio originale e unico punto di vista, solo per la paura di trovarsi in solitudine a pensarla in un certo modo, forse derisi se non addirittura ignorati.
Eppure la storia dell’uomo ci insegna che proprio chi ha avuto il coraggio di esprimere idee liberamente (e agirne coerentemente, per dimostrare la validità e la verità delle proprie asserzioni) ha cambiato radicalmente il percorso della comunità umana.
Ghandi, Einstein, Marx, Shakyamuni, Jung, Gesù, Goethe, Steiner, tanto per citarne alcuni tra i più celebri, hanno, con il loro pensiero e la loro azione, scevri da pregiudizi ideologici, fatto evolvere il pensiero e l’agire della collettività, hanno aperto la mente a milioni di persone su ciò che è da ritenersi giusto e ciò che è da ritenersi sbagliato, mettendosi in gioco in prima persona, senza la paura di essere giudicati e/o criticati.
Dietro al pregiudizio ideologico spesso si celano le nostre paure (di vivere, di essere felici, di venir giudicati), i nostri sensi di colpa, le nostre responsabilità individuali, la nostra pigrizia, lasciando spazio ad una visione comune del mondo (anche se visione solo di una parte, anche se solo nel circolo di persone dinanzi a noi nel momento in cui ci esprimiamo) che ci rassicura e rasserena nell’immediato, ma che spesso ci porta alle peggiori soluzioni, se non, nei casi più gravi, ad essere complici o artefici delle più grandi nefandezze e scelleratezze: nascosti stupidamente dal pensiero che “tanto ora tutti la pensano così, mi adeguo per non entrare in conflitto, così sto in pace e vengo accettato”, non riusciamo a vedere con chiarezza l’importanza e la responsabilità che assume il nostro comportamento di adesione o opposizione ad una data idea, per puro pregiudizio ideologico.
Il pregiudizio ideologico provoca un annichilimento del nostro sé, un annientamento del proprio sapere, delle proprie esperienze, in sostanza annulla il nostro essere ed esserci e poter essere determinanti nelle scelte comuni, che dovrebbero invece scaturire da un dialogo tra persone coraggiose, che non temono il giudizio altrui. Uccide, il pregiudizio ideologico, ogni possibile evoluzione del pensiero e dell’agire umano, perché distrugge la nostra innata capacità di creare soluzioni originali e innovative alle problematiche che la vita ci pone dinanzi, disintegra il nostro potere di pensare da esseri liberi e agire di conseguenza.
La società industriale probabilmente ha grandi responsabilità nell’aver ridotto, quando non annullato, la creatività degli esseri umani, attraverso la serialità dei prodotti e dei servizi, attraverso la catena di montaggio, per mezzo dell’omologazione indotta dai mezzi di comunicazione di massa, attraverso l’avvilimento di quella parte dell’essere umano nato artigiano e artista, condottiero del proprio cuore e della propria mente.
Paradossalmente, in un presente che ci permette di comunicare con una quantità di persone impensabile fino a qualche decennio fa, immersi nella società della comunicazione, non sappiamo spesso più che dire, se non banalità, perché abbiamo paura di essere pionieri di nuove idee, di nuove attitudini, abbiamo paura che gli altri ci giudichino come folli o stupidi.
Eppure cosa c’è di più stupido dell’accettare un’affermazione come verità solo perché abbiamo deciso che la persona o la comunità che la esprime è vicina a noi, solo per spirito di appartenenza, solo per omologazione, solo per pigrizia, solo per fobia?
Il nostro vestire, il nostro mangiare, i nostri gusti, le nostre scelte, non sono più nostri, sono frutto di un pensiero comune che non critichiamo, ma a cui ci adeguiamo supinamente (seppure sgomitando per renderlo originale), inconsapevoli di cercare in un contenitore precostituito e dai confini determinati, piuttosto che nella reale sconfinatezza della nostra mente: perché è immensamente più difficile, nel contesto in cui siamo nati e cresciuti, esprimere un’idea non convenzionale senza essere derisi, ignorati o condannati, ma se non lo facciamo perdiamo a poco a poco la nostra vitalità, la nostra creatività, la nostra socialità, quindi, in definitiva, il nostro stesso senso di esistere. E questo atteggiamento ci porta a deprimerci e ad abbandonare i nostri sogni, a smettere di lottare nel presente orientati verso il futuro, diveniamo artefici in sintesi di uno stato d’animo che cancella la speranza di un domani migliore e appagante, costruito attraverso una faticosa quotidiana lotta interiore per far emergere le nostre inimitabili qualità intrinseche. Agiamo trasportati dalle emozioni create da altri, incapaci di credere di poter vincere pur quando tutto il nostro essere ci dice di essere nel giusto.
Ma la verità più profonda è che il nostro infinito potenziale creativo, se messo in azione, può spezzare ogni catena e ogni vincolo, annientando il pregiudizio ideologico: dovunque siamo nati, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo progredire verso la realizzazione di noi stessi in tutto e per tutto, possiamo costruire una felicità concreta per noi e per gli altri. Seguendo tale comportamento diventiamo noi stessi gli esseri saggi e giusti dell’umanità, diventiamo noi i Ghandi e i Martin Luther King della nostra comunità, della nostra epoca. Per quanto possa essere faticoso, per quanto all’inizio non si venga accettati, non riesco ad immaginare un modo più gioioso, intenso e pieno di vivere.