La costituzione è chiara all’art. 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”
Questo principio di diritto è stato però disatteso dall’epoca delle privatizzazioni in poi, quindi a partire dagli anni ’80, per mano di Draghi, Prodi, Andreatta e tutti coloro che hanno partecipato alla svendita dei settori pubblici strategici del Paese.
Difatti dopo le loro ricette economiche il costo della vita è aumentato anno dopo anno:
SERIE STORICA DAL 1970 AL 2002 DELL’INDICE DEI PREZZI AL CONSUMO NEI CAPOLUOGHI DI REGIONE. BASE 1970 = 100
I servizi pubblici sono peggiorati e si sono ridotti:
Avere una sanità e un’educazione pubblica di qualità e gratuite comporta anche molte meno spese per le famiglie e meno costi per lo Stato, aumentando la qualità della vita. I soldi, ricordo sempre, sono uno strumento, non sono un fine e non sono nemmeno la cosa più importante. Ciò che conta sono le relazioni che abbiamo come comunità e i valori che decidiamo essere alla base dello Stato di diritto, agendo ogni cittadino attivamente per la tutela di tali valori.
La qualità della vita nel nostro Paese si è abbassata notevolmente negli ultimi 40 anni, anche a causa dell’aumento dell’iniquità: i ricchi sono diventati più ricchi e il resto della popolazione si è impoverito.
L’introduzione quindi di un salario minimo è doverosa, sia per rispettare i dettami costituzionali, che per riportare equità nel Paese. Ma dipende come si elabora la proposta. L’idea ad esempio di introdurre 9 euro l’ora di minimo, non ha senso: già molti contratti collettivi nazionali superano i 9 euro l’ora. Il problema poi è che se ci si ferma solo al salario da dipendenti, si dimenticano tutti i lavoratori con contratti atipici e i lavoratori autonomi, che non hanno tutele salariali, né ferie, né malattia. Parliamo di 5 milioni di persone che lavorano e non hanno adeguate tutele nel nostro Paese, soprattutto rispetto ai lavoratori dipendenti tutelati dai contratti collettivi nazionali.
Le tipologie di lavoro autonomo, dall’artigiano al libero professionista, sono aumentate considerevolmente negli ultimi decenni, con l’avanzare della conoscenza e della tecnologia è normale che vi sia un aumento delle professioni. Pensiamo solo già al web, in cui esistono più di 30 diversi profili professionali, per via dell’aumento dei servizi offerti tramite la telematica.
La tutela dell’art. 36 appare quindi oggi limitata, in quanto non contempla il lavoratore autonomo tra gli aventi diritto ad una retribuzione adeguata e sufficiente a garantire la dignità del lavoratore e dells sua famiglis. Ciò è stato ribadito anche più volte dalla Corte di Cassazione, con un’interpretazione forse eccessivamente restrittiva dell’art. 36, in Cass. civ., Sez. II, Sent., (data ud. 24/09/2015) 06/11/2015, n. 22701. e Cass. sez. lav. 23.3.2004, n. 5807.
Dico restrittiva in quanto non ha tenuto conto di quanto disposto dell’art. 3 della Costituzione, in cui è espresso uno dei principi fondamentali della Repubblica, il principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini.
Se “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale” e “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” non può esservi una assenza di tutele per i lavoratori autonomi anche per ciò che concerne una retribuzione tale da consentire una vita dignitosa.
Il lavoratori autonomi inoltre rischiano in proprio ogni giorno, spesso senza il sostegno degli istituti bancari, più pronti a dare prestiti alle imprese, anche se queste presentano carte false. Gli scandali al riguardo sono continui.
Siamo un Paese che negli ultimi 40 anni ha favorito la costituzione di imprese sempre più grandi, mentre ha disintegrato e ridotto il settore pubblico, non ha dato maggiori tutele al lavoro autonomo, ha affossato le microimprese.
Normale quindi che la povertà sia aumentata e che molte persone lavorino solo per sopravvivere e non per scelta. Il non poter scegliere il proprio lavoro non è qualcosa di poco conto, anche questo contrasta con la previsione costituzionale: l’art. 4 difatti statuisce che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Secondo le proprie possibilità e la propria scelta. Ricordo che l’art. 4 rientra tra i principi fondamentali della Costituzione italiana, sono quei principi che non possono essere modificati, nemmeno con una riforma costituzionale, se non per aumentare le tutele previste, non per ridurle.
Si tratta di principi di giustizia universalmente riconosciuti per creare società considerate civili.
Quindi l’adozione di un salario minimo che non tenga conto dei contratti collettivi già in essere, aumentandone quindi l’importo dai 9 euro l’ora proposti e senza ampliare anche le tutele per i lavoratori autonomi e ai lavoratori con contratti atipici non gioverà praticamente a nessuno, sarà solo uno specchietto per le allodole, per attrarre consensi senza poi effettivamente aumentare le tutele dei cittadini.