Diverse riflessioni si accavallano nella mia mente in merito all’assemblea nazionale g.a.s./d.e.s. a cui ho partecipato a Monopoli. E, ve lo dico subito, senza retorica, non sarò breve.
Nella mia narrazione includerò sia da dove e come sono partito, con quali auspici, sia quanto l’esperienza dell’assemblea ha cambiato la mia percezione della realtà del mondo dell’economia solidale, il “dove siamo”, il “dove stiamo andando” e il “dove vogliamo andare”.
Mi sono trovato nella singolare situazione di essere sia dalla parte del “produttore”, con il progetto “Ragioniamo con i piedi”, sia dalla parte del “consumatore” da coordinatore di un g.a.s., il Gasper di Roma.
Sono venuto in Puglia con Gigi Perinello, già fattore particolare della mia narrazione: con Gigi ci siamo conosciuti all’inizio del progetto avviato con il calzaturificio Astorflex a fine 2008, “Ragioniamo con i piedi”, quando lo chiamai interessato per presentarlo alla rete dei gruppi d’acquisto solidale del Lazio, essendo io un “gasista”. Conobbi in tale occasione anche Fabio Travenzoli, il produttore, all’epoca così taciturno, tanto dall’essere riuscito a scambiarvi giusto qualche parola: ora è una persona con cui parliamo schiettamente, senza mai celare alcunché, con ironia e concretezza. Giusto per dare un elemento in più al fattore determinante dell’economia solidale: le relazioni.
E poi tutto si è trasformato: con Gigi siamo diventati Amici (sì, con la “a” maiuscola) e con Fabio sono nati un profondo rispetto e stima reciproci (giusto per fare un esempio: è l’unica persona che conosca che, a distanza di un anno, nelle varie volte che abbiamo mangiato insieme, si è sempre ricordato che sono vegetariano!). E tutto questo ha portato Gigi, consapevole delle mie difficoltà di lavoro pregresse (licenziato in tronco insieme ad altri 39 giovani nel 2009 da una società cinematografica, Non solo cartoons S.p.a., con 3 stipendi non pagati, di cui recuperato solo la metà… e non vedremo mai più altro, fallita ad hoc come solo in Italia sanno fare) nel 2010, a volermi coinvolgere nel progetto R.C.I.P.. Sono stato subito entusiasta alla proposta (ciò è probabilmente un aspetto del mio carattere, l’entusiasmarmi facilmente) e quindi abbiamo iniziato a girare per l’Italia con le proprie auto gonfie di scarpe, per far conoscere il progetto ai gruppi g.a.s.. Da allora tante cose sono cambiate, vi dico solo che ora ho un furgone datomi dall’azienda con tutti gli accessori per far mercati e un introito mensile. E scusate se è poco, in questa epoca di “crisi”.
Da qui già la prima, per me illuminante, riflessione durante le giornate pugliesi: non esiste divisione tra produttori e consumatori, siamo tutti “attori del cambiamento” come ha efficacemente detto Davide Biolghini nell’officina solidale “Economia solidale: un ossimoro?”. Difatti la riflessione che mi sono posto e che, credo, tutte le persone coinvolte in questo determinante percorso, credo debbano porsi, è quella di considerarsi sia “consumatori” che “produttori”: chiunque di noi con un lavoro difatti, anche se da dipendente, non è forse un produttore anch’esso? E quando veste i panni del “consumatore” può forse dimenticarsi di essere un lavoratore che produce beni e/o servizi, quindi un produttore o comunque un elemento all’interno di un’organizzazione produttiva? Probabilmente molte delle problematiche sorte nel rapporto produttore/consumatore all’interno dell’economia solidale potrebbero essere superate brillantemente partendo da questa riflessione individuale. Probabilmente tanti “integralismi” potrebbero essere moderati da una visione che ci vede tutti dalla medesima parte di “attori” dell’economia solidale, senza ipocrisie e aumentando la nostra capacità di comprensione del “sistema economico”, pronti più ad imparare come funziona, settore per settore, caso per caso, piuttosto che giudicare chi ci lavora in maniera netta e immutabile.
E da tale ragionamento sorge immediatamente la seconda riflessione, che parte certamente anche dalla religione che pratico, il buddismo: la Vita è cambiamento, trasformazione, se le nostre idee, la nostra mente e le nostre emozioni, non sono pronte ad aderire dinamicamente alla realtà che cambia, non saremo in grado di agire efficacemente per il tanto agognato “ben vivere” collettivo.
Ma ritorniamo alla narrazione: il viaggio parte da San Cesareo in provincia di Roma, dove abito, per giungere a Monopoli, in Puglia; si tratta di quasi 500 chilometri di strada, 3 regioni, quasi 5 ore di viaggio. E nel percorso, in cui spesso abbiamo chiacchierato con Gigi confrontandoci su tutto, da quello che facciamo insieme all’economia solidale, ai g.a.s., alla nostra vita personale, alla filosofia e ai ragionamenti politici, non ho potuto fare a meno di guardare fuori dal finestrino questa Italia così mutevole nel paesaggio: dalle colline, ai monti, ai boschi, dai piccoli paesini arroccati su qualche monte, alle cittadine nelle piane, dalle fabbriche abbandonate e dismesse del “frusinate” e della Campania, alle pale eoliche della Puglia, immerse tra le valli in cui spiccano le rotoballe abbandonate al vento nel giallo intenso dei campi arati, fino al mare della costa adriatica pugliese, di un blu profondo, dai campi infiniti di ulivi alle masserie abbandonate, ormai ruderi di cui la natura va pian piano riappropiandosi. In cinque ore di viaggio mi è sembrato di scorgere gli effetti di tutto il bene e tutto il male dell’Italia, solo guardando dal finestrino del furgone.
E qui la terza riflessione, perché mi pare palese che il nostro paese viaggi a diverse velocità: per me, che mi trovo a viverlo dal nord al centro e al sud, per ogni ambito, che sia culturale, sociale o economico, ciò appare evidente e sotto certi aspetti anche preoccupante. A distanza di 152 anni dall’unità d’Italia non sembra d’essere nello stesso paese andando a Mantova, a Padova, a Roma e a Bari. Quella diversità di paesaggi, culture, arti che dovrebbe essere la nostra forza, il nostro valore unico e inimitabile, pian piano va appiattendosi sotto i colpi dell’economia globale, dal pensiero unico così ben definito dallo scrittore e giornalista spagnolo Ignacio Ramonet; nel mentre diviene sempre più evidente una diversità di economie, dal ricco nord al povero sud, in una degradazione sensibile allo sguardo, intollerabile e frustrante, che porta ad una impressionante diversa qualità e quantità delle relazioni economiche nei nostri territori.
E penso anche, da inguaribile ottimista con la volontà, che basterebbe “shakerare” l’ordine e la precisione della gente del nord con la convivialità e il calore della gente del sud, per avere un paese meraviglioso dove vivere tutti, nel benessere, benvivere e benavere!
Come può l’economia solidale portare a questo ambizioso obiettivo? Questa domanda mi porto dentro mentre raggiungiamo Monopoli, nella speranza di trovare risposte o almeno domande migliori di quelle con cui sono partito.
Arriviamo venerdì 28 giugno a Monopoli, verso le 4 del pomeriggio: andiamo al volo alla masseria in cui pernotteremo (in cui, giusto per inciso, abbiamo incontrato subito i nostri “concorrenti” di “Risorse Future” con cui ci salutiamo rispettosamente e con un sincero sorriso sulla faccia: il potere mistico della solidarietà è incredibile, abbiamo preso entrambe la stessa masseria in cui alloggiare!). La strada per arrivare alla masseria è circondata da ulivi secolari (forse qualcuno anche millenario), che sia io che Gigi non possiamo non notare estasiati e incantati: sono lì, imperturbabili, contorti dalla vita eppure così vitali, emanano saggezza e austerità al medesimo tempo. Subito dopo andiamo verso il centro del paese e cerchiamo di capire dove si tiene il mercato (dove dobbiamo scaricare) e gli incontri: arriviamo fortunatamente subito al luogo del mercato, vicino al mare limpido e ceruleo, che si tiene proprio lungo una strada pedonalizzata che costeggia il mare fino al castello (che non avrò la fortuna di vedere) e subito la cultura da centro sud si palesa (Gigi non è abituato e tira giù qualche madonna in stretto dialetto veneto, ma io sì e non rimango così sconcertato, rimango anzi sommessamente divertito della sua incredulità 😉 ): non c’è parcheggio per scaricare, in 10 minuti netti noi espositori blocchiamo praticamente la strada del centro; c’è Nino Paparella di RES Puglia ad accoglierci che cerca di trovare soluzioni in ogni modo possibile, insieme a qualche altro volontario, tutti disponibilissimi, segno evidente di quel calore umano di cui parlavo più su; come per magia troviamo dove metterci con il furgone (ovviamente in sosta vietata, ma almeno non intralciando il traffico), proprio accanto a dove dobbiamo scaricare! Segno per me evidente del misticismo, il quale supera persino la disorganizzazione che attanaglia noi italiani del centro-sud, che avvolge tutta l’iniziativa.
Iniziamo quindi a svuotare il furgone e, dopo qualche ora Gigi si allontana (dopo aver sistemato tutto!) per andare ai seminari della prima giornata. Io rimango al mercato, cominciando a fare amicizia con gli altri simpatici “attori” dell’economia solidale. Di fronte a me il mare, è la prima volta che mi capita in un mercato di avere di fronte a me un panorama così incantevole (se penso ai mercati a Roma, nel caos della città, mi vengono i brividi) e mi rendo conto che già questo mi basta a rendermi felice d’esserci.
Incontro in tale occasione i miei amici e amiche della Rete G.a.s. Lazio, che poi ritroverò nei vari incontri, con cui scambiamo qualche battuta, sorridenti come sempre, ironici in maniera tipicamente romana.
Per questa prima giornata la vendita è minima, circa 8 paia di scarpe vendute, pur con tante persone a passeggio, soprattutto persone in vacanza; la stanchezza verso sera comincia a farsi sentire e, siccome il mercato finisce a mezzanotte e dobbiamo smontare tutto e ricaricarlo sul furgone, cerchiamo di sbrigarci a caricare: purtroppo non avevamo fatto i conti con la strada! Per uscire dal paese di Monopoli giriamo mezzo centro storico, passando a volte solo per pochi centimetri tra le strette e tortuose vie. Finiamo per arrivare distrutti alla masseria in cui alloggiamo, circa alle 2 di notte.
Sabato sveglia alle 8, penso che sia la prima volta, da quando ci conosciamo, che mi sveglio prima di Gigi: forse è l’entusiasmo e l’emozione di voler partecipare anche io al primo giorno per me dell’assemblea; la colazione è con frutta fresca del proprietario della masseria (ciliege squisite peraltro), che evito di mangiare tutte per poterne lasciare anche a Gigi. Partiamo quindi verso i luoghi degli incontri, sempre guardando affascinati gli ulivi seculari attorno alla strada. Facciamo una sosta per una seconda colazione, in cui non posso non rimarcare a Gigi la bontà nettamente superiore delle brioche del sud Italia, per far recuperare punti: al nord proprio non le sanno fare (o almeno dovunque sono stato io non sanno farle). Ci avviamo quindi allo splendido Palazzo San Martino, dove si terranno tutte le officine solidali (sono ben 18, 10 la mattina e 8 il pomeriggio). La mattina partecipiamo a “Economia solidale: un ossimoro?” dove, dopo una (forse un po’ troppo) lunga introduzione di Davide Biolghini, iniziamo a discutere, coadiuvati da una “facilitatrice” e questo è un punto importante: tutti gli incontri sono stati seguiti da facilitatori, ossia professionisti (volontari) che ci hanno aiutato a meglio chiarire e sintetizzare i temi dei nostri dialoghi.
Ora quindi riporto la relazione, sulla base dei miei appunti, su quanto è stato dibattuto (ve lo avevo detto che non sarei stato breve!).
OFFICINA “ECONOMIA SOLIDALE: UN OSSIMORO?”
Con l’introduzione di Davide Biolghini
1) INTERMEDIAZIONI: la diffidenza
– i g.a.s. sono abituati a fare volontariato e vedono con pregiudizio qualsiasi forma di intermediazione
– un esempio è stato il caso del produttore Tomasoni: l’intermediazione MAG venne vista male dai g.a.s., perché intermediari e limitando quindi il rapporto diretto con il produttore. Solo una parte dei g.a.s. si rivolse a MAG 2 (circa 30.000 euro), la restante parte di gruppi (circa 90.000 euro) tramite raccolta diretta e preacquisto (Sintesi-tomasoni-MAG2-GAS-DES-Venezia-09-12).
– solo il 2,3% dei g.a.s. usa intermediari, anche per quanto concerne la distribuzione. Ciò a volte non vedendo la difficoltà per i produttori di occuparsi anche della distribuzione.
– Diversi modelli di logisitica stanno emergendo in Lombardia, alcuni esempi sono:
– Cooperativa InterGAS EQUOS di Varese (soli gasisti, da 5 a 7 tonnellate di fresco distribuite, tutto basato sul solo volontariato, 300 volontariati nell’arco dell’anno);
– Cooperativa Corto Circuito di Como, hanno costituito una cooperativa produttori – g.a.s.;
– Filiera Corta Solidale di Cremona, altra esperienza cooperativa.
2) MODELLO ORGANIZZATIVO: equilibri tra volontariato e lavoro remunerato
– La cooperazione sociale spesso è nata per coprire le carenze del settore pubblico, con ampissimo settore volontario. Va differenziata la cooperazione sociale sana e malata (quest’ultima in cui ci sono gestioni di quasi “capolarato”).
– L’esperienza del commercio equo solidale: le botteghe nascono fortemente basate sul volontariato. Poi c’è stata un’evoluzione, sulla necessità che si è palesata di organizzazione e professionalizzazione. Si costruiscono quindi le grosse centrali (avviene quindi un accentramento): nel peso economico le botteghe diventano meno importanti e si riduce la quota di volontariato.
Riflessione finale: l’aumento della complessità porta la degenerazione e la burocratizzazione, bisogna rimanere piccoli, porre dei limiti.
3) ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA: attori di cambiamento, certezza dell’acquisto da parte dei consumatori
– Progetto “Made in no”: riflessione su cosa sono le imprese solidali. Il progetto nasce da un possibile patto d’azione comune tra g.a.s. e produttori. Debbono esserci patti stringenti (di responsabilità specifiche) per costruire imprese sociali, tra g.a.s. e imprese, come sta avvenendo con l’esperienza del Distretto di Economia Solidale Rurale parco sud di Milano.
– Per i modelli organizzativi cosa proponiamo di nuovo?
– Dobbiamo creare comunità sostenibili con una responsabilità sociale rispetto al territorio; siamo “attori di cambiamento” e non solo più produttori o consumatori, dal momento che cerchiamo di valorizzare il capitale delle relazioni.
– Il rapporto tra lavoro volontario e remunerato deve essere discusso senza pregiudizi, deve essere messo a tema. Altrimenti finiamo come gli altri (come ad es. la Lega COOP), a scimmiottare il sistema capitalistico.
Esperienze positive al riguardo: “BuonMercato” nasce come super-g.a.s., rivolto direttamente ai cittadini. Dentro ci sono sia “gasisti” volontari che 3 operatori pagati (sono soci), pagati con un rincaro tra costo d’acquisto dei beni e prezzo d’acquisto da parte degli aderenti (il 10%). Anche il progetto “Corto Circuito” di cui sopra è un esperienza positiva in tal senso.
DIBATTITO
Parla Gianluca Bruzzese, del progetto “Made in No” (abbigliamento intimo): non siamo riusciti ad avere una relazione continuativa con g.a.s./d.e.s.. Siamo stati obbligati a fare lavoro straordinario (ad es. mercatini di domenica), di distribuzione, che ha aumentato la fatica. La remunerazione è così diminuita. I g.a.s. vogliono un miglior servizio distributivo, senza capire quale, noi azienda non siamo in grado di rispondere a tali esigenze. La dimensione industriale ci impone quantitativi non minimi. Nella domanda chiara delle esigenze degli acquirenti la filiera produttiva diviene facilitata. Per ora le domande sono molteplici e differenti.
Parla Gigi Perinello, del progetto “Ragioniamo con i piedi” (calzature): uno dei problemi fondamentali è che noi non abbiamo un’azienda che nasce per i g.a.s., ma che è in crisi e cerca di ristrutturare la propria proposta per soddisfare le esigenze dei consumatori consapevoli (garantendo sostenibilità ambientale e del lavoro). Relazionandosi con marchi e g.d.o. le aziende come Astorflex si sono trovate a rispondere alle esigenze di tali attori e su questo si sono modellate e strutturate.
La trasformazione (riconversione) non è immediata (altrimenti sarebbe necessario il licenziamento di molti lavoratori, contrario quindi allo spirito solidaristico), ma graduale.
Nel caso della scarpa ci sono 20-30 componenti e 20-30 aziende coinvolte: se non abbiamo la forza di coinvolgerle in un pensiero solidale, non potremo essere efficaci.
Utilizziamo materiali costosissimi e per questo costano in un certo modo, hanno bisogno di una diversa comunicazione che sappia narrare tutti i fattori.
– Non essendo nate tali aziende con i g.a.s. troviamo aziende già strutturate, che non cambiano in un giorno: se pretendiamo che lavorino solo per noi, dobbiamo garantire l’acquisto totale della produzione. Altrimenti bisogna affrontarlo come un percorso. C’è anche un problema di prezzi e di rapporti con i produttori delle materie prime e semi-lavorati (che vanno pagati prima della produzione): noi ci troviamo a finanziare i nostri fornitori.
Dobbiamo capire come affrontare la distribuzione: servono sistemi gestiti dai g.a.s., che fungono da garanti, perché le aziende non possono sostenere anche la distribuzione.
Parla Fabio Fortuna, del progetto “Risorse Future” (calzature): sono d’accordo con Gigi. Noi abbiamo investito da 3 anni in ricerca e sviluppo sui materiali, con un costo non indifferente. Se dobbiamo investire in tutto ciò, dobbiamo avere un riscontro da parte dei g.a.s. (che attualmente rispondono al 1% delle nostre comunicazioni), altrimenti non c’è non c’è il ritorno economico sufficiente per poter andare avanti. Abbiamo 8 operai, 4 persone di famiglia, 2 persone saltuariamente. L’azienda era nata 50 anni fa, con la concorrenza della produzione e distribuzione cinesi stavamo andando verso il fallimento. Siamo partiti da 3 anni con i g.a.s.. Stiamo cercando di ripartire ad es. dalla canapa, il grezzo lo compriamo in Romania pagandolo prima, la filatura la facciamo in Italia. Il costo caro che viene rimarcato dai g.a.s. è perché non c’è comprensione della filiera e dei costi. Il problema è la diffidenza, che può essere superata solo con il confronto.
Consorzio produttori agricoli Basilicata: 350.000 az. agr. in tutta Italia; molte aziende agricole sono nate e cresciute grazie anche ai contributi pubblici. Non è possibile per l’economia solidale competere con la loro crisi (la crisi del sistema dominante, il capitalismo e il liberismo).
D.E.S. Reggio Emilia: la difficoltà è riportare le nostre riflessioni sul territorio. C’è bisogno di organizzarsi a livello distributivo: i g.a.s. possono organizzare mercatini temporanei per tale livello.
Il discorso volontariato/lavoro si riflette spesso nel ritrovarsi in pochi, se basato solo sul volontariato. L’organizzazione con operatori remunerati come cooperative, con il coinvolgimento del lavoratore volontario, può essere un buon modello da adottare.
Parla un signore, Giovanni: porta l’esempio di una banca dei Paesi Baschi, che esiste da 45 anni, lavorando a stretto contatto con diverse imprese del territorio, come esempio della riflessione sulla necessità di lavorare in rete. L’impresa è importante per il territorio, perché ha un valore sociale, quindi la difficoltà viene affrontata insieme al territorio. Non siamo coscienti completamente del nostro agire, perché abbiamo paura di prenderci responsabilità. Ci mancano le risorse per organizzarci insieme. Stiamo cercando di creare un fondo di solidarietà a tal fine, perché servono soldi per organizzarci meglio: e spesso piuttosto che fare fondi finiamo per andare dalle banche, dagli istituti di credito, dell’economia di mercato, così degenerando il nostro circuito virtuoso.
Gas Pinerolo, Paolo Bertoli: stiamo ragionando sul d.e.s., siamo agli inizi. Si vede spesso il d.e.s. come sviluppo del territorio, ma noi non abbiamo questa ambizione. Non vogliamo creare economia, ma qualcos’altro. Dobbiamo creare una moneta diversa già da subito, dobbiamo abbandonare la moneta tradizionale, lo scambio economico così come è attualmente. Dobbiamo inziare a trovare un’altra crescita, che non sia solo sviluppo economico.
Pietro (aderente ad un g.a.s.): rapporto volontariato/lavoro. Ora il volontariato sostiene un’economia che da sola non si sosterrebbe. I g.a.s. sono una distribuzione che mantiene il prezzo equo, basandosi proprio sul volontariato. Il volontariato sostiene ora la giusta remunerazione di chi è retribuito.
Ada: ci sono tanti livelli diversi, non serve guardare un percorso o una strategia giusta. Nei g.a.s. si crea coscienza, si cresce, si provano modelli organizzativi: è difficile metterli in atto, dobbiamo investire sul fare formazione all’interno. Stiamo sperimentando modelli diversi, dobbiamo rimanere aperti, ma rigorosi. Spesso il g.a.s. è uno sfruttamento di poche persone, che lavorano per tutti. Il vero modello del lavoro volontario, che vede una partecipazione di tutti, in maniera ben organizzata, è il vero lavoro volontario, da cui ancora siamo lontani. Dobbiamo ancora sperimentare molto, non abbiamo modelli già definiti e ben sperimentati.
Eleonora (GASP Frosinone): vedo ciò che dice Ada anche nel nostro g.a.s.. Ciò è legato ad una mancanza di visione, manca una progettualità di quello che si sta facendo. Molti usano il g.a.s. a beneficio personale, ogni qualvolta si tenta di effettuare un percorso di processo ci viene detto che stiamo correndo troppo. Dobbiamo accettare i tempi lenti. La mia esperienza nelle scuole con RESSUD, quando ho tirato le somme del monitoraggio ho scritto le spese effettuate (pagate dai singoli, dalle cooperative, etc.) e le ho inviate a tutto il g.a.s., non per chiederne un rimborso, ma solo per farne prendere coscienza: è giusto che siano solo alcuni a pagare tali spese? Come possiamo sostenere in maniera etica tali spese, equamente tra tutti?
Laura (g.a.s. di Cremona, da cui è uscita per costruire il progetto “Filiera Corta Solidale”): pongo dubbi più che dare risposte, non sono uscita dal g.a.s. per una visione incompatibile, ma diversa. Non sono salutista, ma il mio interesse è stato aprirsi all’esterno, alla società, buttare giù dei muri e superare i limiti che tengono le persone lontane. Quindi abbiamo organizzato una distribuzione che ha dato servizi, rendendo più accessibili queste pratiche alla cittadinanza.
Sul rapporto fiducia/diffidenza: il progetto non è nato per i g.a.s. del territorio, c’era la speranza di creare sinergie (non avvenute) su prodotti che vengono da lontano. Il target sono sempre state le famiglie che al g.a.s. non si sarebbero avvicinate. Ai g.a.s. non interessa il nostro progetto, perché veniamo visti come intermediari. Dall’altra parte Filiera Corta è un rapporto di fiducia, avendo elaborato disciplinari di produzione. Sul rapporto volontariato/lavoro: solo da un anno sono retribuita, faccio tanto lavoro volontario ancora oggi (lavoro 9/10 ore al giorno, tra retribuito e volontario). Le mie frustrazioni sono, sì l’avere un comparto di volontari (ad es. nel fare cassette è indispensabile), ma la mancanza di una partecipazione che sia ad un livello più alto, di prospettiva, di fare impresa (ci scommettiamo tutti o solo io?). Bisogna trovare un equilibrio giusto.
Giuseppe SOS Rosarno: si è persa la nobilità del lavoro volontario, che non si deve perdere.
RIFLESSIONI PERSONALI
Siamo stretti tra la necessità e l’urgenza di un nuovo modello e la lentezza necessaria a sviluppare i nostri modelli. Forse dobbiamo rischiare di più e velocizzare.
La questione è culturale, è d’azione legata ad una cultura che bisogna diffondere (qui è determinante la comunicazione).
Il volontariato deve essere un diritto e perché lo sia c’è bisogno di lavorare remunerati 5 ore al giorno. Tanti gasisti non riescono a partecipare soprattutto perché non ne hanno il tempo, non tanto perché non vogliono fare volontariato; e cadrebbe ogni giustificazione lavorando 5 ore al giorno.
Dobbiamo passare dai G.A.S. (gruppi d’acquisto solidale) ai P.A.D.S. (produzione acquisto e distribuzione solidali), in cui tutti gli attori dell’economia solidale sono coinvolti in un’unica realtà territoriale.
Per arrivare a ciò dobbiamo lavorare nell’economia solidale, riflettendo su:
– Quello che consumiamo è il lavoro che troveremo, quello che produciamo sono i prodotti che troveremo.
– Nella filiera solidale il produttore è parte debole e il consumatore parte forte, rispetto all’economia di mercato. Quindi l’assunzione di responsabilità del consumatore sull’acquisto è determinante, così come la trasparenza del produttore; per entrambe il confronto, nonché lo stare assieme, dalla stessa parte, è la soluzione e la sintesi.
Se siete arrivati fin qui singifica che già avete smesso di lamentarvi della lunghezza della mia relazione, forse trovandovi (spero) qualche spunto interessante e qualche utilità.
Ricomincio la mia narrazione dalla pausa pranzo: nel cortile del palazzo ci ritroviamo tutti (saremo almeno 200-300 persone), iniziando a fare la fila per mangiare il pasto preparato dalle persone della R.E.S. Puglia (a cui va tutto il mio personale ringraziamento per essere riusciti nella difficile organizzazione: vi abbraccio uno per uno).
E si chiacchiera, instancabilmente, tutti abbiamo tanto da dire, tanto da ascoltare, è palpabile la necessità del confronto, la necessità di relazionarsi portando ognuno le proprie esperienze.
Il tempo è poco rispetto a quanto ne vorremmo, ma ci sono le officine solidali del pomeriggio che debbono cominciare, altrimenti non si fa in tempo.
E quindi ecco che vi beccate subito, nemmeno il tempo di digerire la prima, la seconda relazione: ho partecipato (con rammarico, perché avrei voluto partecipare a tutte: tra qualche anno dovrà durare 10 giorni lo Sbarco G.a.s./d.e.s., così potrò farlo e sarà segno evidente del successo del nostro movimento!) a quella sui “Sistemi partecipativi di garanzia”.
OFFICINA “SISTEMI PARTECIPATIVI DI GARANZIA”
D.e.s. Brianza racconta la propria esperienza di formazione sui sistemi di garanzia partecipata: i costi dei progetti sono stati coperti con un finanziamento, ora stiamo pensando a come auto-finanziarci. Il fine è stato far sì che le comunità riconscessero ai produttori uno status di produttore certificato, partendo come base dal rispetto dei disciplinari biologici. Con i tecnici, consumatori e produttori abbiamo stabilito dei criteri condivisi, dei disciplinari specifici alle esigenze degli attori solidali. Il progetto è durato un anno. Si sono formati, durante le riunioni, dei gruppi di lavoro, per stabilire delle procedure (visite, manuali di visita (domande da fare al produttore), etc.). I manuali di visita di Des Brianza sono già pubblici (http://des.desbri.org/news/pgs-al-via-prime-visite-sperimentali-ai-produttori).
D.e.s. Parma: abbiamo organizzato una distribuzione sul territorio dei prodotti ai cittadini, attraverso un mercato periodico, una Piccola Distribuzione Organizzata. È in tale ambito che è sorta la questione dei SPG (sistemi partecipati di garanzia). È nato tutto dall’esigenza di produttori e consumatori di avere qualcosa in più della garanzia standard del biologico, in cui si lamentano sia i primi che i secondi, nonché i problemi del fatto che il certificatore è pagato dal produttore, etc.. Abbiamo cercato di capire sul territorio cosa fare per trovare dei meccanismi per capire cosa vogliono entrambe, attraverso degli incontri (ad es. sul lavoro, che non è contemplato nel disciplinare). Esigenze del produttore: non si vuole certificare perché non si riconosce nei disciplinari bio o perché vuole una garanzia in più, il consumatore vuole potersi fidare se quanto dichiarato è veritiero. Per questo ci sono i percorsi di visita, sia con consumatori che con un produttore affine, anche per effettuare le schede produttore. La nostra garanzia è anche una responsabilità, poiché per legge non possiamo dare una garanzia con valore legale. Facciamo schede produttore e schede di visita. Stiamo cercando di semplificarle al fine di renderle comprensibili ai consumatori e facili da compilare per il produttore. Abbiamo chiesto un finanziamento a Cariparma, per avere una persona che fa lavoro di coordinamento sul progetto (non è un tecnico, ma ha esperienze di rete g.a.s./d.e.s.): abbiamo ottenuto 10.000 euro per tale persona (il 75% dei costi). Abbiamo scelto la fondazione Cariparma perché le fondazioni hanno l’obbligo di destinare a bando dei fondi, cosa che la Regione non ha (non ci sono bandi su questo settore). Tutti i documenti saranno pubblicati sul sito di D.E.S. Parma. Tale strumento lo diamo a disposizione ai g.a.s. del d.e.s. che, se vogliono, possono usarlo nel proprio gruppo.
Altra esperienza, “Campi Aperti” di Bologna, già pubblicato on-line: http://www.campiaperti.org
Arcipelago Siqillyàh: Come Arcipelago Siqillyàh facciamo una volta al mese un incontro tra tutti, dove si dà anche un veloce occhio all’azienda presso cui ci incontriamo.
Dobbiamo stare attenti al valore che diamo alle analisi chimiche: le analisi difatti vengono fatte sui prodotti chimici conosciuti in Italia (se ad es. si usa un prodotto chimico preso dall’estero, nelle analisi non si trova; oppure si supera il periodo di latenza del prodotto e quindi non vi è traccia nelle analisi).
G.a.s. Gasper, percorsi di certificazione partecipata: siamo partiti dalla riflessione che è necessaria una cultura in continua evoluzione del percorso produttivo naturale e etico. Dobbiamo considerare che le analisi del processo produttivo dipendono dal tipo di azienda e dalla sua dimensione, non possono essere tutte uguali. E comunque va sempre considerato che è un percorso, un diario, che si basa sulle reciproche informazioni, sulla totale trasparenza del produttore, sull’aiuto che noi g.a.s. possiamo dare (ad es. pagare i tecnici al posto del produttore), mettendoci dalla stessa parte.
I nostri percorsi sono aperti ad altri g.a.s. e al territorio.
La convivialità, tra dati e schede tecniche, rimanendo poi a cena insieme, è stato l’aspetto prevalente che ha reso meno faticosi gli incontri.
Il nostro scopo, la nostra “utopia”, è arrivare ad una cultura della produzione etica basata sul dialogo, dove le certificazioni non siano più necessarie, dove non esista più la distinzione tra “produttore” e “consumatore” così come la concepiamo oggi.
QUESTIONE FONDAMENTALE
Come far conoscere e comunicare a tutta la cittadinanza questi sistemi di garanzia?
Finita l’officina vado a montare lo stand, con tante idee in testa e anche il buonumore: sì, perché provo un immenso piacere a parlare di come essere economia solidale, di come sperimentare nuove pratiche virtuose che ci diano sempre maggiore consapevolezza del percorso intrapreso e ci aprano nuove strade da intraprendere.
Questa volta va meglio, vendiamo circa 16 paia di scarpe durante tutta la serata, parliamo con molte persone spiegando il nostro progetto, cosa facciamo, come e quali sono i nostri obiettivi: primo tra tutti dimostrare che si può lavorare in Italia, con i migliori materiali naturali disponibili, riducendo l’impatto ambientale della produzione, garantendo i diritti dei lavoratori e mantenendo un prezzo equo delle scarpe. Tra me e Gigi al riguardo non c’è mai alcun dubbio: l’unico modo per uscire dalla crisi del sistema è la decrescita felice e serena, rilocalizzando, decolonizzando le menti, ricreando relazioni di valore e considerando le aziende un valore sociale dei territori e non meri impianti di produzione. Un’azienda è un intreccio di tradizioni, esperienze di vita, saper fare, relazioni umane e con l’ambiente, non è solo produzione, prodotto e distribuzione.
Verso le 23 il tempo comincia a cambiare, si alza il vento e Gigi capisce, con il suo sesto senso (a cui io in questa occasione do poco ascolto, purtroppo), sorto dalle varie esperienze di diluvi passate, che sta per arrivare un temporale: si scatena il putiferio, viene giù tanta di quell’acqua che si creano fiumi per le strade, iniziamo a caricare il furgone per salvare le scarpe e le scatole di cartone riciclato che le contengono, finiamo di caricare che siamo completamente zuppi dalla testa ai piedi. Diamo protezione sotto il nostro stand a qualche persona, mentre ci riposiamo un poco dopo la faticaccia, attendendo che spiova un minimo. Infine smontiamo anche lo stand, siamo rimasti praticamente solo noi, con un’altra “avventura” da raccontare nel nostro difficile e faticoso, ma entusiasmante percorso.
Andiamo quindi a bere qualcosa, io volevo una birra, Gigi prende uno yogurt (lui è più “salutista” di me): questa volta passiamo in contromano dalla strada in cui siamo venuti, per non finire un’altra volta un’ora a girare il centro storico di Monopoli!
Arriviamo ad una piazza grande, in cui c’è un bar abbastanza “chic”, in cui entriamo tutti belli zuppi, facendoci strada tra giovani e meno giovani vestiti di tutto punto, con una musica tecno commerciale veramente insopportabile. D’altronde è il primo che abbiamo trovato aperto, poco importa. Torniamo alla masseria ancora più stanchi del giorno prima e con una certa ansia per via dell’acqua che hanno preso i prodotti, ma ci penseremo domani, ancora pieni delle parole ascoltate e dette, dei ragionamenti e delle sensazioni regalateci dall’assemblea.
E arriva la domenica: niente mercato oggi, ci sono gli incontri di ambito e l’assemblea plenaria, in cui i facilitatori relazioneranno sinteticamente sul lavoro delle officine e degli ambiti.
Ecco la mia sintetica relazione dell’ambito a cui ho preso parte.
Ambito “Produzione e trasformazione: filiere no-food”
Si sente l’esigenza della facilitazione, perché i ragionamenti possano andare avanti a livello nazionale. Perciò potrebbe essere necessario effettuare una quantificazione economica di tale servizio, ad esempio partendo dall’avere una o due persone a part-time.
Si riflette altresì sul fatto che possa però essere critico e potrebbe allontanare dalla partecipazione l’avere dei responsabili a livello nazionale remunerati.
È necessario comunque innanzitutto fare rete a livello regionale, lavorare concretamente a tale livello.
È strategico trovare un contenitore nazionale dove tute le elaborazioni regionali vengano condivise.
Bisogna maturare la compartecipazione dei vari attori, produttori, consumatori, distributori, attraverso patti dove le responsabilità vengano condivise. In tale ambito ci devono essere momenti di confronto periodici dove le criticità degli attori si possano affrontare insieme.
È necessario lavorare dal basso, coinvolgere per arrivare ad essere massa critica.
L’esempio pratico di Retenergie: 500 contratti ad oggi, il massimo a Parma, dove c’è la questione dell’inceneritore. C’è ne aspettavamo 10.000.
L’esempio pratico di Made In No: buona parte di quanto abbiamo prodotto non ha poi trovato riscontro nell’acquisto da parte dei g.a.s..
Il problema sono le scelte individuali all’interno dei gruppi, che in ambito no-food ancora non mutano.
Si pensa di creare una sorta di bollino di qualità per i produttori certificati dai g.a.s..
Serve una promozione dal basso fondata sulla relazione. Bisogna superare la diffidenza su alcuni prodotti, soprattutto nei servizi.
Promozione dei produttori da parte di d.e.s. e g.a.s., contratti da sottoscrivere nell’immediato (ad es. nelle riunioni dei g.a.s.) per i servizi, organizzazione di mercati temporanei per vendita diretta dei prodotti no-food, diffondendo così l’economia solidale tra tutta la cittadinanza.
Il mercato deve essere un’officina, un luogo dove si attua l’informazione e il dialogo tra attori dell’economia solidale.
Ecco la sintetica relazione dell’assemblea plenaria, in cui vengono riportate le riflessioni degli ambiti.
“Produzione e trasformazione: filiere food”
Lavoro sui territori, priorità nazionale. Appuntamento in autunno come tavolo agricoltura.
No Ogm: sono attive due petizioni; promozione nelle regioni dove si sta legiferando nel merito.
Formazione degli agricoltori su agricoltura naturale, in particolar modo verso le aziende che rischiano di chiudere. Accesso alla terra e terreni demaniali a disposizione dell’agricoltura naturale.
Lavorare sulla costruzione di filiere, con reti tra consumatori e produttori. Elaborare patti di responsabilità reciproca.
“Produzione e trasformazione: filiere no-food”
Esigenze diverse dal food su servizi, settore più difficile perché c’è molta diffidenza.
Sul prodotto no food (tessile e scarpe), c’è un problema di complessità della filiera e in alcuni casi l’impossibilità per ora del totale biologico.
Necessità di strutturarsi a livello regionale è una priorità strategica.
Servirebbero dei facilitatori di processo a livello nazionale, pagati; nel frattempo il processo viene promosso da parte del gruppo gas/des.
Incontro tra produttori per proposte.
Informazione e promozione sui prodotti.
Il mercato come officina informativa e di dialogo.
Compartecipazione e promozione dal basso.
Distribuzione
Soggetto nuovo, un d.e.s. in cui ci siano produttori, gas, lavoratori, botteghe e che si occupi di:
– Gestione di un trasporto sostenibile.
– Gestione distribuzione: gas, mercati, negozi, spacci.
– Giusto equilibrio tra lavoro retribuito e volontari.
Mettere a confronto le realtà che già esistono e farle conoscere.
Nuove relazioni territoriali e istituzionali
Ripensare la proprietà sociale.
Ragionare sulla proprietà di spazi e di saperi. La proprietà dal punto di vista della sua funzione sociale.
20-21-22 settembre incontro a pisa sul tema della proprietà: allargare la partecipazione degli attori sull’iniziativa. Strumenti: mailing list, sito “comune-info”.
Gruppi di lavoro su leggi regionali: a livello nazionale già esiste, va coordinato con le realtà regionali.
Gruppo sulla formazione e sull’approfondimento, promosso da Davide Biolghini.
Produzione: servizi
4 ambiti con già tavoli di lavoro attivi.
Misurare l’economia solidale
Bilanci di giustizia con i g.a.s., bilancio bene comune con fornitori.
Finanza etica
Promozione prodotti comuni. Progettazione. Formazione informazione. Tavoli regionali. Richiesta: soggetto giuridico nazionale.
Scuola
Commissioni locali con soggetti solidali per proporre alle scuole i progetti.
Sbarchi in piazza nelle scuole.
Comunicazione
Portale web di riferimento da progettare e sperimentare. Deve permettere di comunicare all’interno e essere una vetrina per l’esterno.
Proposte in assemblea plenaria per prossimi incontri nazionali
Assemblea a marzo-aprile per consentire ai produttori agricoli di poterci essere.
Considerare la fiera/mercato come un’officina solidale.
Più momenti di convivialitá (mia riflessione, che analizzo alla fine).
Richiesta d’aiuto della rivista altreconomia. Sostegno sottoscrivendo un abbonamento come g.a.s.. Proposta di integrarlo quale soggetto che aiuti nella comunicazione dell’economia solidale.
RIFLESSIONI PERSONALI FINALI
A distanza di dieci giorni dell’assemblea, ancora pieno di pensieri, sensazioni, vivendo un’euforia generalizzata derivante dalle relazioni avute di grande umanità, con persone di ogni parte d’Italia, mi vengono in mente alcune ulteriori riflessioni.
La riflessione principale che mi viene in mente è quella di curare maggiormente l’aspetto conviviale, che in parte ho sentito mancare durante l’assemblea: di certo la situazione generale italiana non è delle migliori, tante le incertezze sul futuro e, visto che in tale contesto si ha un’elevata consapevolezza del fatto che il problema è sistemico, è ovvio che lo scoramento e la preoccupazione possano prendere il sopravvento: non si cambia sistema da un giorno all’altro, ci vogliono ancora anni di duro lavoro e di lotte!
Però credo fermamente che, ciò che possa veramente coinvolgere i nostri concittadini a credere nei percorsi che proponiamo, sia soprattutto l’aspetto gioioso, il fatto che tutti i nostri ragionamenti derivino dall’amore per gli esseri umani e per l’ambiente, da una naturale propensione come esseri umani alla vita sociale e conviviale, propensione che l’attuale cultura dominante ha soppresso in gran parte, ma che è insita nel nostro stesso vivere ed essere vita.
Un sistema freddamente razionale come quello dell’economia liberista, può essere secondo me sostituito da un sistema di economia solidale solo se saremo in grado di farne emergere gli aspetti che riguardano la felicità umana, un qualcosa che include la logica, ma che necessita anche dell’emersione del lato emotivo, giunto al raziocinio.
Se dimentichiamo l’ambito emotivo delle nostre esistenze, dimentichiamo la parte che ha permesso al sistema economico attuale di esistere e diventare tale: in tale sistema l’inganno è stato generato dall’euforia dell’avere, dal divertimento effimero del possedere, dalle mille lucine colorate che ci hanno ammaliato, dall’intrattenimento lucidamente organizzato, finalizzato all’acquisto.
La vera battaglia si terrà proprio secondo me su questo fronte: l’economia solidale deve dimostrare di poter dare maggior felicità al genere umano, nel suo agire quotidiano, rispetto all’economia di libero mercato, perché possa essere considerata dai più come migliore, come un progresso.
A poco secondo me serviranno le speculazioni riguardanti la sostenibilità ambientale della produzione, le riflessioni sul capitale delle relazioni, che sono beni intangibili, se non riusciremo ad esprimere in maniera tangibile che l’economia solidale nasce e cresce per aumentare e assecondare la gioia di vivere di ogni singola persona.
Nel piccolo mondo del mio g.a.s., il Gasper, abbiamo già vissuto l’evoluzione da un sistema razionalmente organizzato, che ha portato ad un periodo di crisi qualche anno fa, per evolverci ad un sistema emotivamente e umanamente coinvolgente, che ha superato la crisi attraverso la creatività e l’impegno di ogni singolo; ciò partendo da un percorso che ci ha portato a creare un contesto di convivialità privo di conflitti, dove le problematiche sono state affrontate con soluzioni che, solo vivendo insieme momenti piacevoli, siamo riusciti a superare efficacemente e rimanendo uniti.
E lo stesso sta avvenendo all’interno della Rete g.a.s. Lazio di cui facciamo parte.
Il rispetto delle idee altrui, le reciproche relazioni di stima e amicizia, la sperimentazione senza pregiudizi, ma basata sulla fiducia e sul dialogo sincero, sono i fattori che ci stanno portando verso lidi migliori, verso una migliore organizzazione del nostro agire, verso maggiore concretezza.
Nel percorso con “Ragioniamo con i piedi” sono stati i sorrisi, il dialogo, l’ironia nel mezzo della fatica, che ci ha permesso di resistere ed esistere ancora, apprezzati dai nostri “acquirenti” non solo per la qualità dei prodotti che vendiamo, ma anche dalla sincerità e trasparenza con cui ci siamo sempre rapportati, dalla creatività con cui abbiamo sempre cercato di reagire alle difficoltà che abbiamo incontrato.
Tutto si è mosso e si muove, tanto nel Gasper quanto in R.C.I.P., grazie all’emersione del nostro profondo senso di umanità, ascoltando il più possibile le sensazioni, le emozioni, le impressioni e le riflessioni delle persone con cui siamo entrati e entriamo in relazione. E sono felice e orgoglioso di farne parte.
Nel nostro percorso di attori dell’economia solidale ci avviciniamo spesso alla tradizione e all’esperienza agricola e contadina, recuperandone i valori in ambito produttivo, mettendo però forse in secondo piano un’unica cosa di tale tradizione: organizzare più feste, più momenti non di riflessione, ma iniziative che promuovano il piacere di stare insieme per il solo fatto di stare insieme, per ritrovare quella comune umanità che ci consente di sentirci vivi e felici di esserci, proprio qui e ora.
Ultima riflessione (giuro che ho terminato!) è quella di aver visto un’età media elevata all’assemblea (pur se tanto spirito giovanile l’ha permeata dall’inizio alla fine). Dobbiamo far sì che il coinvolgimento dei giovani sia maggiore: i giovani sono il futuro, sono energie fisiche e mentali a non finire, se non siamo in grado di coinvolgerli non riusciremo nel nostro intento di portare l’economia solidale ad assurgere come modello e direzione da seguire per il futuro dell’umanità. E sono certo che l’aumentare i momenti di convivialità, di gioia collettiva, potrà aumentare sensibilmente la partecipazione giovanile.
Grazie di essere arrivati fin qui nella lettura, spero sia stato utile almeno a qualcuno tutto questo mio scrivere.
Spero che sia emerso tutto il mio profondo amore, rispetto e stima per tutte le persone che ho incontrato. Spero che saremo sempre di più, fino a coincidere con l’umanità intera. Credo fermamente nella possibilità concreta di un futuro di pace e amorevolezza per il genere umano, lotterò tutta la vita nel mio piccolo perché ciò si realizzi nel più breve tempo possibile: è la più intima natura dell’essere umano, consapevoli di essere parte del tutto, che indicherà la strada giusta da seguire, che porterà a costruire una società includente e accogliente, non dobbiamo averne dubbi.
Dario Pulcini – 9 luglio 2013